Scheda n. 7502

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Scheda inferiore

Tipo documento

Testo per musica a stampa

Data

Data certa, 1667

Titolo

La S. Agnese drama per musica. I atto. II atto.

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Benigni, Domenico (1596-1653)

Pubblicazione

Copia

Descrizione fisica

Parte seconda, pp. 23-41

Filigrana

Non rilevata

Note

Il libretto è trascritto anche nelle schede nn. 7628, 7982, 8083 e 8608.

Titolo uniforme

Come così dolente. Forma non specificata, La S. Agnese drama per musica

Bibliografia

Trascrizione del testo poetico

SCENA OTTAVA
Valerio, Flavio

Valerio: Come così dolente,
Così mesto agitato
Copri, Flavio, la mente?
Qual fiero duol pungente
Ti trafigge così l’alma affannata?

Flavio: Come?

Valerio: Così doglioso,
Così afflitto? Perché? Qual fiero duolo
Porti nel seno ascoso?
Chi turba il tuo desire?
Dal tuo sembiante al suolo?
Caggia in man de la gioia il tuo martire?

Flavio: Dove amico?

Valerio: Sparisca
Dal tuo sembiante omai
Quello stuolo di guai
Onde par, ch’il tuo cor tanto languisca.

Flavio: No, no, no, non tocca a me:
Di tanta crudeltà
Paghi le pene Amore.
Si, si, si, così va
Paghi le pene Amore.
Traditore, traditore!
Con le mie proprie man l’ucciderò!
Misero, ma che pro?
Dal mio petto è fuggito;
E superbo e impunito
Va cercando quei rai,
Che pria gli apriro il varco:
Le ferite d’amor non sanan mai.
Sospiri, che fate?
Prendete, ligate,
Ferite quell’empio,
Che barbaro scempio
Già fece di me.
Prendetelo, ligatelo, uccidetelo.
Ma che mi doglio ohimé?
Voi, voi tristi miei lumi
A quel crudo, a quel fiero
Preparaste il sentiero
Da portar nel mio sen fiamme cocenti:
O piangete, o piangete occhi dolenti.

Valerio: E che pianti son questi?
Che gemiti e sospiri?
Sogni? Dormi? Deliri?
Scaccia, Flavio, dal cor pensier sì mesti.

Flavio: Ah, ah, ah, mi fate pur ridere
Pupille spietate;
Se voi pensate,
Ch’i vostri rigori
Mi possan’uccidere.
Ah, ah, ah, mi fate pur ridere.
Ci vuol altro, ch’un bel guardo;
Io non ardo
Così presto ad ogni foco:
Prima d’amar voglio pensarci un poco.

Prefetto: Flavio, Figlio, mio bene
De l’età cadente
Soavissima spene
Non rispondi? Perché?
Qual nube di dolore
Il tuo sguardo confonde e l’esser mio?

Flavio: Ah, ah, ah, non te ‘l diss’io,
Ch’Amor pentito
Daria dolce mercede a l’amor mio?
Piano, piano, tacete,
Che quel sol ch’io desio
Gli prepara al mio seno ore più liete.
Olà, olà, tacete.
Ma qual d’intorno io veggio
Insolito splendore?
Ferma guerrier la spada,
Ferma guerrier, deh sovra me non cada
De la tua man lo sdegno.
Ferma, ch’io vengo meno,
Di tua pietate indegno.
Ma dove son? Vaneggio?
Ah codardo mio core,
Chi t’incatena il pie’?
Dov’è l’ardir, dov’è?
Correrò, rapirò, l’empia, ch’adorerò:
Ma chi m’uccide? Ahi lasso! Io manco moro.

Prefetto: Su miei servi accorrete
E vi tocchi pietà d’un genitore,
Che tra cure inquiete
Vede un figlio, che more.
Chi sa di voi, qual sia
La cagion del suo mal?

Valerio: L’affligge amore.
Flavio d’Agnese amante
Porta chiusa nel cor piaga sì dura,
Ch’a soffrirla il meschin non è bastante.

Prefetto: S’il tuo male è d’amore
Non dispero la cura.

Flavio: Fuora, fuora pensieri
A l’assalto, a l’offese;
Uccidete quei fieri
Barbari incrudeliti,
Ch’il mio bene, il cor mio
Son con le fiamme d’oltraggiate arditi.
Generosi pugnate,
Coraggiosi durate:
A voi, a voi s’aspetta
Far de la fede mia giusta vendetta.

Valerio: O miseria infinita
D’un povero amatore!
Non è contento Amore,
Se non toglie la vita.

Flavio: Vittoria, vittoria pensieri,
Già l’empio è fuggito
Sparito
Fra torbidi fumi.
Impari ogn’alma a non sprezzare i Numi.
Dove sono? che miro?
Crudi noi ritornate
Co ’l ferro ignudo a lacerarmi il core.
Che volete da me?
Fermate, ohimé, fermate.
E soverchio rigore
Incrudelite in questo petto ignudo.
A chi misero more,
Basta, infelice, che l’uccida Amore.

Prefetto: Non più, Flavio, non più.
Tranquilla il cor turbato
Saprò, saprò ben’io
In sì doglioso stato
Portar dolce rimedio al tuo desio.

Flavio: O mirate il mio core,
Mirate, mirate,
Che già dal petto uscito
Con ali di splendore
Spiega rapido il volo;
E di candor vestito
In sembianza più bella.
Mirate, che se ’n poggia
Sopra Marte e Saturno a farsi stella.
Genuflessi adorate
L’anima mia, che vola:
È sparito il cor mio,
Chi mi conforta, ohimé, chi mi consola?

Prefetto: Basta, Flavio, non più.
Riducetelo servi al nostro albergo.

SCENA NONA
S. Agnese in oratione

S. Agnese: Pietà, Signor, Pietà
Non son degna di te.
Il mio amor, la mia fè
Troppo è vil prezzo di tua gran beltà:
Pietà, Signor, pietà.
Se divota t’adoro,
S’io sospiro, s’io moro;
Quanto fui, quanto sono,
Tutto, Signor, de la tua destra è dono.

BALLO CANTATO

Felice, chi prezza
Lo strale d’amor
Non sa la bellezza
Dar pena, o dolor,
Se l’alme invita
Suo puro seren;
D’alti contenti
Empie le menti.
Gioia gradita
Fa lieto ogni sen:
Dolce è l’asprezza
Soave il rigor.
Felice chi prezza
Lo strale d’amor:
Non sa la bellezza
Dar pena, o dolor.

PASSEGGIO
O felice, o beato
Chi sta ad amor soggetto:
Ne l’amoroso stato
Ogni cosa è diletto.

BALLO CANTATO
Bellezza amorosa,
Ch’ardendo si sta,
È tenera rosa,
Che gioia ne dà.
Quell’è più saggio,
Che fregiane il crin,
Di vostra etate
Non aspettate
Che passi il maggio
Oltre il confin:
Cura noiosa
Cupido non ha.
Bellezza amorosa,
Ch’ardendo si sta,
È tenera rosa,
Che gioia ne dà.

PASSEGGIO
O felice, o beato
Chi sta ad amor soggetto:
Ne l’amoroso stato
Ogni cosa è diletto.

S. Agnese: Aura vana e lusinghiera,
Che leggiera,
Vien co’ venti e se ne va;
No, mio core, non t’alletti.
Perché poi t’ingannerà.
Diletto, che piace,
È cruda mercé;
Un’ombra fugace
Che piace e non è.
Il tuo desio
Gioia non speri, o la ricerchi in Dio.

CANTO SENZA BALLO
A QUATTRO

Voglio morir per te
Vita ne la mia vita,
Né mi curo, ch’aita
Mai ritrovi mia fè,
Voglio morir per te.

Adorerò le pene
I tormenti, gli affanni;
Bacierò le catene,
Gioirò ne’ miei danni
Ricco d’ogni mercé:
Voglio morir per te.

SOLO
Per te vita mia cara
Per te voglio morire:
Siami la sorta avara
Se cangio mai desire,
Per te voglio morire.
Vengano a cento a cento
I tormenti, le pene:
In mezo a le catene,
Nel proprio mio tormento
Mi vedrai gioire:
Per te voglio morire.

A DUE
Voglio morir per te,
Core di questo core,
Né mi curo, ch’amore
S’armi contra di me:
Voglio morir per te.
Io morirò contento,
Io morirò beato:
Benedico il mio Fato,
Ch’in sì dolce tormento
A sospirar mi diè.
Voglio morir per te.

A QUATTRO
Per te caro ben mio
Per te voglio morire:
Questo solo desio
Premio del mio servire,
Per te voglio morire:
Piovano a stuolo a stuolo
Sopra me le sventure;
Io con voglie più pure
Intrepido nel duolo
Mi preparo a soffrire:
Per te voglio morire.

BALLO SENZA CANTO

S. Agnese: Quando sarà quel giorno,
Che dal mortal disciolta
Per goder del tuo sen faccia ritorno,
Quando, Signor, quando sarà quel giorno?
Purch’a te volgasi
L’alma disciolgasi:
Mio ben, mio Dio;
Fa beato un tuo sguardo ogni desio.

S. Agnese si ritira

Choro: Non più strali, non più foco,
Lascia Amor, lascia l’assalto.
Per ferire un cor di smalto
Le tue forze vaglion poco.
Non più strali, non più foco.

Non più scherzi, non più canti
Per far guerra a la bellezza:
Con un cor cinto d’asprezza
Perde Amor tutti i suoi vanti;
Non più scherzi, non più canti.

Fine del Atto primo

ATTO II
SCENA PRIMA

Teodoro, Livia, S. Agnese

Teodoro: NOI, consorte gradita,
Moviam chiamati dal Prefetto il piede;
E non so, qual mi siede
Nel sen torbido affetto,
Che lega i passi ed a tornar m’invita.
Sa, che non è timore;
Ma sento in mezo al petto
Un non so che, che mi combatte il core.

Livia: Piaccia, marito, al Cielo,
Che presaga la mente
Con improviso gelo
Di non intesa cura
Non ci sforzi a temer strana ventura.
Di quanto il Ciel destina
Spesso l’alma è indovina.

Teodoro: Ciò che desia non intendo:
Che se gelo sì rio
Da me non si diparte;
Sento da l’altra parte,
Che forte man possente
Move non conosciuta al mio desio.

S. Agnese: Troppo omai genitori
Offendete quel Dio,
Ch’a pro degl’innocenti
Sa di giusto furore armar la mano:
Non più, non più timori.
Sparso di fiamme ardenti
Frema tiranno crudo,
Dispietato, inumano
E la pietà del Ciel securo scudo.

Teodoro: Timor, figlia, non è
Quel pietoso consiglio,
Che forse par, che mi trattenga il pie’,
Timor, figlia, non è,
Ma soave pietà del tuo periglio.
Seguam pure l’impero
Del Prefetto che forse esse ben può,
Che s’inganni il pensiero.
Venga Agnese: ma no;
No, no, non venga no.
Sarà meglio, che resti.
Si, si; dì pur che resti:
Ma che dissi? No, no, dì pur, che vegna.

Livia: Che portenti son questi,
Che tua mente disegna?

Teodoro: Senti, dì, che non vegna.
Dissi mal, ferma; errai:
Dì pur, che venga Agnese.
Tra gli oltraggi e l’offese
Agl’innocenti il Ciel non manca mai.
Ma se non mente il guardo
Ecco appunto il Prefetto,
Che con piede non tardo
Ad incontrar ci viene.

Livia: Eccolo appunto e pare
Che di dolce diletto
E di gioie più care
Mostri al nostro venir le luci piene.

S. Agnese: Fortunato chi pone
Le sue speranze in Dio.
Tra le cure del mondo
Ah che troppo s’inganna uman desio.

SCENA SECONDA
Prefetto con la corte et i sudetti

Prefetto: Aspettato, ma caro
Pur Teodoro sei giunto,
Caro perché giungesti
Fra pensieri funesti
A dar vita in un punto,
A un genitore, a un figlio,
Che senza il tuo favor corrono a morte.

Teodoro: Da te Signor lontano
Volga pietoso il Ciel sì reo periglio.
A l’impero sovrano
Del tuo voler qua venni
E disponi a tua voglia;
Eccomi pronto ai cenni.

Prefetto: Flavio, l’unica prole,
Che mi concesse il Cielo,
Tutto ardor, tutto gielo
Egro, afflitto si duole
E se cortese tu con dolce aita
Non soccorri al suo male,
Non soccorri a chi langue;
Troncherai con la sua questa mia vita!

Teodoro:
S’a me tanto è concesso,
Se bastante è ’l mio sangue,
Io Signor non ricuso
A pro del figlio tuo svena me stesso.

Prefetto:
Io gradisco il tuo affetto;
Ma nel sen l’alma mia
S’assai meno è bramosa.

Teodoro: Siami, ti prego, il tuo voler palese;
Dimmi, quanto desia.

Prefetto: Bramo solo, ch’Agnese
Del mio figlio sia sposa.

Teodoro: Che? Signore?

Prefetto: Ch’Agnese
Del mio figlio sia sposa.
Non rispondi? Sospiri?

Teodoro: Così novo mi giunge,
Ch’una tua serva a tanti pregi aspiri,
Che stral di meraviglia il sen mi punge
E mi lega nel cor sensi e parole.

Prefetto: Venga Agnese la bella
E fra queste mie braccia,
De le future nozze
Il primo pegno di gradir le piaccia.

S. Agnese: A sposo assai più degno
Io giurai la mia fede e l’amor mio.

Prefetto: E chi de la mia prole
Avvanzerà qua giù
Le glorie e gli splendori?

S. Agnese: Sarà questi GIESÙ,
Ch’a sua spose divote
Offre con larga mano
L’istesso Ciel per dote.

Prefetto: Taci misera, taci,
Che desir folle e vano
Move più ch’il tuo cor, labbra loquaci.

S. Agnese: Saggio voler costante,
E non strana follia
Del mio caro GIESÙ mi fece amante.

Prefetto: So, che cieca deliri.

S. Agnese: Questi son miei desiri.

Prefetto: Che pretendi? vorrai
Con fiera morte infame
Oscurar di tua stirpe i chiari rai?
Vorrai, folle, vorrai
Per un nume straniero
De lo sdegno di Giove
Irritar sovra te l’arco severo?
Cangia, cangia consiglio:
Sia tuo sposo il mio figlio.

S. Agnese: Se morir spossa al mio Signor costante
Morte infame s’appella
E qual sarà vaghezza,
Che d’infamia sì bella
Possa mai pareggiar l’alta bellezza?
Questa infamia desio;
Questa sia la mia palma;
Questa chiede il cor mio;
Altro non vuol quest’alma.
Scenda Giove sdegnato a la tenzone;
Le sue saette avventi:
Io non chiedo al mio sposo altre corone.

Prefetto: Misera e soffrirai
Che tra pensier sì duri
Di favolosa fede
Sterile alfin s’oscuri
Quel fior, ch’in te si vede;
Quel fior, che di bellezza ogn’altro eccede?

S. Agnese: Fior, che pose natura
Per pompa di beltà sovra d’un viso
Sotto i colpi de l’ore
Nel suo proprio splendor tosto s’oscura:
Ma s’io consacro in dono
Al mio sposo, al mio Dio
Di mia tenera etade un fragil fiore;
Con portento improviso,
Quando par che languisca,
Verdeggiante risorge in Paradiso.

Prefetto: Frena Agnese gli accenti
E più saggio consiglio
Dia legge al tuo pensiero:
Sposa tu del mio figlio.
Al tuo cenno, al tuo impero
Mille intorno vedrai nuore latine
Di bella invidia ardenti
Inchinar riverenti i pregi tuoi.
Che più brami? Che vuoi?
L’oro, che nel tuo crine
Chiaro splende e pomposo,
S’ornerà luminoso
Di quanti abbia l’aurora
Tesori più lucenti:
E vedrai le tue piante
In breve spatio d’ora
Genuflessa adorar Roma festante.
E vuoi, folle, che sei,
D’un Nume imaginato,
Crocifisso, svenato
Desiar gl’Imenei?
Folle, folle, che sei;
Sai pur, ch’a la beltà
Delle sue regie spose
Ei preparar non sa
Che conviti di pianti e di sospiri
E danno al fianco loro ispidi veli
Orsi fieri e cameli.
Cangia, cangia consiglio:
Sia tuo sposo mio figlio.

S. Agnese: D’invidioso strale
Senta pur chi vuol l’aspre punture,
Che punto a me non cale
Tributarie mirar nuore latine:
Posto ho più su de’ miei pensier la meta,
S’avverà mai, ch’a sdegno
Non si prenda il mio sposo
Aprir’a me de’ le sue gratie il regno;
Vedrò contenta e lieta
Mille sotto il mio pie’ regi e reine.
Chi può fregiar di stelle
Per man del mio GIESÙ l’aurato crine;
Ben’è folle, se spera
Ch’oggi in terra l’aurora
Abbia sio campi suoi gemme più belle,
Il mio sposo il mio Dio
Fa contento e beato
Disugualmente eguale ogni desio.

Teodoro: Non mi dir più, consorte,
Che di dolor si muore:
Ha provato il mio core,
Che non ha contro a lui colpi la morte.

Livia: Alma ricca di fede
Negli oltraggi non cede.

Prefetto: Chi pietoso mi sdegna,
Si prepari a soffrirmi oggi sdegnato.
Saprò, saprò ben’io
Con fiera mano ultrice
Sveller da la radice
Quel cor, che forsennato
Sa destar nel tuo sen sì strana voglia.
Il mio sdegno si scioglia:
S’armi di ferità
La mia destra schernita:
Fugga pur la pietà:
Non si tratti di vita.

S. Agnese: Vesti pur di fierezza
A miei danni la mente.
Che mi rese possente
Di schernir’i tuoi vezzi,
Farà, che coraggiosa
I tuoi furori e l’ire tue non prezzi.
Stabil’è ’l mio desio:
Mancheran l’acque al mare,
Mancheran l’erbe al prato,
Sarà il foco gelato, ardente il gelo,
Privo di stelle il Cielo,
Il sol senza i suoi raggi,
Pria ch’il mio cor sia visto
Tra le pene e gli oltraggi
Timido abbandonar l’orme di Cristo.

Prefetto: Taci, taci, spergiura,
Taci non parlar più;
Taci, sarà mia cura,
Che tra fiamme e catene
Degli oltraggiati Dei
Renda Agnese le pene:
Su, su ministri miei,
Su traetela avvinta:
Che del suo sangue tinta
Io vedrò poi, se sorte
Saprà nel suo martire,
Rigido sostener colpo di morte.

S. Agnese: Genitori soffrite,
Non vi paventi un ciglio,
Ch’armi di sdegno a mia ruina avventi.
I miei duri tormenti,
Il mio crudo periglio
Non vi chiedono già sospiri o pianti:
Altro cerca il mio core.
Generosi, costanti
Soffrite il vostro duolo:
Combattuto valor non cade al suolo.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Rv - Roma - Biblioteca Vallicelliana
fondo Borromini
collocazione S. Borr. Q.IV.223.46

Scheda a cura di Nadia Amendola
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