Scheda n. 10148

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Testo per musica manoscritto

Data

Data incerta, tra il 1700 e il 1710

Titolo

Prologo a tre. | Marito, Moglie, e Passaggiero

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Baldovini, Francesco (1634-1716)

Fa parte di

Baldovini Poesie MSS. (n. 10064/84)

Pubblicazione

[S.l. : copia, 1701-1710]

Descrizione fisica

C. 198r-201r

Filigrana

Non rilevata

Note

Il testo è definito "Prologo" nella fonte. Questo breve componimento poetico ha molti elementi di comunanza con le serenate “rustico civili” di Baldovini che seguono (“Già più dell’usato” e “Ch’i possa arrapinare”). Alcune porzioni di testo sono illeggibili, così come alcune cassature (si rimanda alla bibliografia per maggiori dettagli).

Titolo uniforme

Sventurata povertà. Forma non specificata

Bibliografia

Trascrizione del testo poetico

MARITO/MOGLIE, A 2:
Sventurata povertà
Tu da ognun sei presa a gioco
Né ti giova il chieder poco
Che ne pure altrui tel da.
Sventurata povertà...
MARITO:
Vive il mondo alla bestiale
La pietà non v’ha più seggio
Sua natura inclina al male
Ma il suo mal va sempre in peggio;
MOGLIE:
E in età sì maledetta
Chi del bene aver s’aspetta
Senza l’oste il conto fa.
A 2:
Sventurata povertà...

MARITO: Di che gente indiscreta
È ripiena la terra! Un uom cortese
Sotto a qualunque ciel si cerca invano,
Ch’il trattar da villano
Domina al tempo d’oggi ogni paese;
Io più d’ogni altro il provo,
Che mendicando al viver mio sostegno
Ove spero soccorso, ingiurie trovo;
Anzi in chieder mercede
Mille risposte amare
Spesso indietro mi fan torcere il piede;
Chi con guardo sprezzante
Mi licenzia tacendo,
Chi con fasto arrogante
Mi discaccia fremendo,
Chi nel mostrargli il mio bisogno estremo
Ben ben mi squadra, indi sorride, e dice
“Guarda che spalle, oh benedetto remo!”.
E il ciel lo soffre, e non si muove a sdegno,
Che a sì nefando segno
Sia ridotta oggi dì la carità?

A 2
Sventurata povertà...

MARITO: Ma dentro a quest’albergo, in cui rimiro,
Di passaggieri un gran drappello accolto
Sarà forse chi prenda
Delle miserie mie qualche pietade
Voi costì m’attendete
Fin ch’io ritorno.

Asprissimo destino
Già che mai non ti stanchi
Di porgermi dolori
Opra che in […] io trovi
Tanto sol di […], che almen non manchi
Questo misero oggetto a tuoi furori.
MOGLIE:
Che rigide tempre
Di stelle nemiche
A genti mendiche
È forza soffrir!
Da cieli
Crudeli
D’un misero a i danni
Se scendon gli affanni
S’avanza mai sempre
Senza speme di tregua il suo languir;
Che rigide tempre...

MARITO: Oh Dio! Fra tanti ancora
Non si trova a miei guai mercede alcuna:
Gioisci empia fortuna
Di veder disperata ogni mia speme;
Alle miserie estreme
Eccomi giunto, e che più vuoi? Ma vedo
Un che in placido sonno
Ha sopite le ciglia,
Il desio mi consigli
Ch’io ben tosto ver lui rivolga l’orme
Eseguiscasi dunque; oh mie speranze
A che ridotte siete
Se di svegliar credete
I sensi di pietade in uom, che dorme.
Signor, Signor. PASSAGGIERO: Chi è la?
Chi mi desta? MARITO: Son io PASSAGGIERO: Che vuoi, chi sei?
MARITO: Un che d’aita privo
Per sostenersi vivo
Da voi cerca sollievo a propri strazi.
PASSAGGIERO: Non so se noi siam pazzi
Che mo’ di fare è questo?
Per darmi de fastidi
Potevi anco aspettar, ch’io fussi desto.
MARITO: Non vi chiedo gran cose
Un sol denaro in carità domando.
PASSAGGIERO: Sentite impertinenza
Da far venirmi al naso il moscherino
Per chiedermi un denaro, e nulla più
Mi guasta un sonnellino
Che valeva un Perù.

Come vuoi, che dimostrare
Carità possa con te
Se venendomi a sturbare
N’hai sì poca inverso me?

Va su le forche MARITO: Ah per pietà mirate.
Il bisogno, signor. Son già tre giorni
Che in vari luoghi errando
Con la povera mia mesta famiglia
Vado qualche ristoro invan cercando.
PASSAGGIERO: Che forse questa gente
È teco? MARITO: Sì, signor PASSAGGIERO: Quanta canaglia!
Ma chi è (se però si può sapere)
Colei che a prima giunta
Porta la faccia in vari stracci avvolta?
MARITO: Quell’è mia moglie PASSAGGIERO: È una squisita tolta.
Buon pro ti faccia. In somma
Costor godono il mondo,
Vada come la vuole
Per tutto a loro è giorno
Han stoppato le case, ed i poderi
Non alloggian pensieri
E per disgrazia han simil ciarpe intorno.
MARITO: Deh sovvenite omai
Al mio duro travaglio. PASSAGGIERO: Ora. Ma dimmi
Quant’è che la pigliasti?
MARITO: Dal numero de figli
Comprendete Signore esser molt’anni
Che in preda a mille affanni
Come vuol la mia sorte incrudelita
Meno seco la vita.
PASSAGGIERO: Tant’è, vuoi, ch’io ti dica il pensier mio
Mi piglierei simil disgrazia anch’io.
MARITO: Signor le mie sciagure
Non ammettono scherzi, o voi pietoso
Il domandato aiuto
Mi concedete, o ch’io mi parto. PASSAGGIERO: Aspetta
Non aver sì gran fretta.
Vuo’ sapere in che modo
Fate tutti a campare. MARITO: Il cielo ha cura
Anco degl’infelici; egli la vita
Fra le sventure a mantener n’insegna.
PASSAGGIERO: Come? MARITO: In vari esercizi
Per quanto può ciascun di noi s’ingegna.
PASSAGGIERO: Sapreste voi per sorte
Cantar qualche canzona? MARITO: Anzi da questo
Tragghiam l’util maggiore. PASSAGGIERO: Ora hai trovata
L’invenzion da cavar da me de soldi.
Piglia, e con la tua gente,
Mentre di qui t’osservo
Cantami qualche cosa. MARITO: Ora vi servo.
E là meco v’unite
E ad accenti canori i labbri aprite.

MARITO/MOGLIE A 2:
Pena ognun per qualche cosa
Come il guida il suo desire
E là dove ei vuol salire
Sempre anela, e mai non posa.
MARITO:
Chi superbo ambisce onori
Chi desia vaste ricchezze
Chi vorria d’alme bellezze
Posseder dolci tesori.
MOGLIE:
Ma s’avvien ch’altrui contento
Tenga un dì sue brame a freno
Ogni doglia in lui vien meno,
E svanisce ogni tormento.
MARITO/MOGLIE A 2:
Adunque alme ingannate
Per non penar di più bramar lasciate.
Sol dalle brame in noi nascono i guai,
E chi nulla desia, non pena mai.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Fr - Firenze - Biblioteca Riccardiana
collocazione 2474.84

Scheda a cura di Giulia Giovani e Ivano Bettin
Ultima modifica: