Scheda n. 10079

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Testo per musica manoscritto

Data

Data incerta, tra il 1700 e il 1710

Titolo

Infernus Domus mea est. Iob. Hic ure, hic seca, hic nihil mihi parcas, ut in eternum parcas. S. August

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Baldovini, Francesco (1634-1716)

Fa parte di

Baldovini Poesie MSS. (n. 10064/15)

Pubblicazione

[S.l. : copia, 1701-1710]

Descrizione fisica

C. 54r-55v

Filigrana

Non rilevata

Note

Il titolo attribuito alla cantata fornisce preziose indicazioni per l’identificazione delle fonti di ispirazione del testo. Baldovini, infatti, si rifà a un versetto del Libro di Giobbe (17:13: «Si sustinuero, infernus domus mea est, et in tenebris stravi lectulum meum») nel quale l’uomo attende la liberazione dalle sofferenze attraverso la morte, auspicando di entrare nella tomba – sua dimora definitiva – che cancellerà le pene. Il desiderio di un’eternità serena è rafforzato dalle parole attribuite da differenti autori ascetici a Sant’Agostino.

Titolo uniforme

Finirai breve momento. Forma non specificata, Infernus Domus mea est

Bibliografia

Trascrizione del testo poetico

Finirai breve momento
Di mia vita egra, e affannosa
E in magione atra, e penosa
Mio spirto accoglieran fuoco, e tormento.
Ivi in duro aspro martire
Pagherà con strazi immensi
Ciò che a miei delusi sensi
In questo esiglio vil parve gioire.

Ahi qual di doglie, e strida
Qual di pene, e di pianti
Confusion funesta
In quel mondo perduto a me s’appresta!
Ed io mentre diviso
Quasi da me su tal pensier rimando
Per fuggir quelle pene, ora non peno?
Per non sparger quei pianti, ora non piango?
Ahi no, più non tardate
In lagrimosi fiumi
A cangiarvi, oh miei lumi.
E tu Re delle stelle
Cui per renderlo in esse un dì felice
Questo nulla chiamar dal nulla piacque
Deh non soffrir, che l’ombra
Delle inique opre mie con tratti impuri
Di tua bontà l’alto disegno oscuri.
So che scossi superbo
Delle tue leggi il fren; che vili oggetti
De miei stolti desiri Idolo sei,
Onde ogni pena è scarsa
E poco anche è un Inferno a falli miei.
Ma ben m’è noto ancora
Che al mar de miei delitti
L’ampio ocean di tua pietà prevale
E che tu puoi benigno
Benché da me di colpe
Falange immensa incontro a te sia mossa,
Più perdonar, di quel che errare io possa.
Dunque ver me dimostra
La tua pietade, e insieme
La tua somma giustizia in pare appaga;
Prima che l’ore estreme
Giungan del viver mio; pria che di morte
Su quest’empia cervice il dardo scenda
Col più crudel rigore
Il tuo giusto furore
Del mio perverso oprar vendetta prenda.

In me s’avventino
Pur quanti fulmini
Del Cielo accolgono
Gli sdegni in sé,
E quante fremono
Furie nell’Erebo
Tutte risveglino
Lor furie in me.

Ogni angoscia, ogni affanno
Si scateni a mio danno,
Rifugio non desio, non chiedo scampo;
Pur che negli anni eterni
Splenda per me di tua clemenza un lampo,
Qui ferisci, qui svena,
Qui lacera, qui sbrana,
Qui consuma, scomponi, ardi, e distruggi
Questa mia spoglia umana.
Se un dì del tuo bel Regno
Nel tranquillo riposo
Mi concedi pietoso
Che in Luce immortal le luci io giri,
Son vil prezzo di ciò tutti i martiri.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Fr - Firenze - Biblioteca Riccardiana
collocazione 2474.15

Scheda a cura di Giulia Giovani e Ivano Bettin
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