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Legami a persone
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Titolo uniforme
Trascrizione del testo poetico
Al campion invitto e forte
Che a crudel miseria e morte
Noi sottrasse con la spada
Deh cantiam inni di gloria
Al gran Dio della vittoria.
Amici o quanto deggio all’amor vostro
Ed alla vostra fede!
Ma troppo ah troppo innanzi
Ella trascorre la vostra lingua;
Io già non merto questi
Sì gloriosi applausi.
Non piccola contesa
Sofferse ognun di noi dagli Ammoniti
Che scorrean minacciando
A Galaad o morte
O dura servitute;
E noi vinti gli abbiamo
Perché il Dio de nostri Avi
Allor che in rischio posi la mia vita
Nella mia man gli ha dati.
Dunque volgete a lui le sacre lodi
A lui rendete grazie in vari modi.
Dhe cantiam inni di gloria
Al gran dio della vittoria
E al suo nome augusto e santo
Della terra in ogni canto
S’arda incenso e soffra amor
Al gran Dio s’arda incenso
Al gran Dio s’offra amor.
Ei benigno ed amoroso
Ei pietoso per sottrarne a fieri
mali diede a noi forza e valor.
Deh cantiam inni di gloria
Al gran Dio della vittoria.
Doppo notturne tenebre
Doppo tempeste orribili
In oriente tornano
I rai del chiaro sol
Così da rie miserie
E da catene liberi
Godiam la pace amabile
E tutte si dileguano
L’antiche pene e’l duol.
Il nostro Dio
Benigno e pio
I tanti voti
Le calde lagrime
Non isdegnò
Ed obliando
Ogni esacrando
Difetto nostro
Dall’empio carcere
Ci liberò.
Veramente o gran Gefte, in le tue mani
L’Eterna Provvidenza
Ripose e la ruina
Dé nemici e la salvezza nostra
O ben tre volte e quattro
Beato giorno e venturoso in cui
Nella terra di Iob a te venimmo
E con sospiri e lagrime e preghiere
A pietà ti movemmo onde lasciasti
L’usato albergo; e volentier l’incarco
Di principe e di Duce
Contra i fieri Ammoniti
Accettar ti degnasti.
Da quel giorno ebbe principio
Il nostro ben la nostra salute
Perché in breve
Di cadaveri piene abbiam vedute
Venti cittadi alla tua spada invitta
Umiliarsi. Addunque a te si deve
Il primo onor dopo il gran Dio.
<i>Gefte</i>
Abdone
O come male intendi
Quel che si deve
Io del voler divino
Sol tanto fui ministro egli mi elesse;
Egli di ferro armommi
La destra; e’l petto di coraggio e volle
Farmi uscir dal campo vittorioso.
Io per me non volea
Resistere a nemici sì possenti
E molto meno soggiogarli: ordunque
A me si deve onor?
<i>Abdone</i>
Questa è virtude
Che tutte l’altre avanza
Usar modestia in stato
Di gran felicitade.
<i>Gefte</i>
O s’una volta
Dal basso fango alzassero la mente
Gli uomini che per qualche opera degna
Son cotanto onorati in questo mondo
Dandosi vanto, e insuperbendo spesso
Della non sua virtude
Diverrebbono umili
Conoscendo se stessi abbieti e vili
Che se lodevol cosa un tempo fanno
Della Grazia Divina il poter hanno.
<i>Abdone</i>
tu parli saggiamente
<i>Gefte</i>
Dunque al gran Dio da cui solo dipende
La fortezza il valor l’ingegno e’l senno
E le scienze e le bell’arti e l’altre
Vere felicitadi
Solamente drizzar abbiam le lodi,
Ed a lui sol si deve onor e culto.
<i>Abdone</i>
Questo è ben ver; ma intanto
Tu ricusando quell’onor che ‘l mondo
A grandi Eroi suol dar come dovuto
Al sol Dio stesso lo ti darò ben tosto
<i>Gefte</i>
E questo ancora dono
Sarà di sua bontade immensa.
<i>Abdone</i>
Or vedi da vicino
La diletta tua casa: o come allegra
T’accoglierà l’unica tua figliuola
Veggendo che di Maffa a gran onore
E de figli d’Ammon e danno e scorno
E sano e vincitor tu fai ritorno.
Già bagnò le belle ciglia
La tua figlia
Di gran pianto al tuo partire
Gli odi e l’ire
Pur temendo di ria sorte.
Or le labbra empie di riso
E’l bel viso
Rasserena dolcemente
Poiché sente
Le tue palme e l’altrui morte.
Egli sol rimembrando
E la casa e la figlia
Sospira e piange invece
Di consolarsi e la cagion di questo
Non a me né a lui medesmo anche a’ palese.
<i>Elone</i>
S’io ben m’appongo al vero
Forse ora pensa Gefte
Al sacro voto che fece a Dio
Pria di partir da Maffa;
E giurò d’offerire in sacrificio
Quel che prima uscirà dalla sua casa
Incontro a lui, quand’ei ritorni salvo
E de figli d’Ammon vittorioso.
<i>Abdone</i>
Nulla di questo ei favellò poc’anzi
Ma perché poi cotanto
dolersi? Egli sarebbe
Un pentirsi del voto a Dio giurato
<i>Elone</i>
Tu parli sconsigliato
Gefte ha ragion di querelarsi e molto
Temer del voto suo
Che se primiero fosse
Alcun de suoi più cari
O la Figliuola stessa
Deh che sarebbe mai
Dell’infelice padre?
Quali pene ah Dio quai doglie
In veder la figlia amata
Uscir prima delle soglie
Tutta lieta e consolata
Per dover poscia morir.
E in saper ch’al padre stesso
La grand’opera si conviene
Come al ciel ebbi promesso
Quali doglie ah Dio quai pene
Egli avrebbe da soffrir.
<i>Abdone</i>
Tolga Dio che succeda
Così funesta e lagrimevol cosa.
Ma ecco Gefte.
<i>Gefte</i>
O quanto invidio al mio stato primiero!
Or ozioso e lieto
Nella terra di Tob io mi vivea
Co’ miei compagni ov’io spendea le notti
E i giorni tutti in pace.
Era pur meglio ch’io non acconsentissi
A quei vegli sagaci
Che persuaso m’hanno
a lasciar il mio albergo ov’io fuggendo
I miei fratelli,
Che già m’avean scacciato
Dalla paterna casa,
Trovai dolce quiete; or che ritorno,
Quantunque vincitor, non son felice.
Mille tristi pensier la mente ingombrano;
E più d’ogni altro il voto
Che deggio sciorre a Dio: a cui pensando
Mi rappresenta innanzi
Un non so che d’orribile e funesto.
<i>Arsone</i>
Signor, come imponesti
Diligente osservai;
S’alcun movesse il pié della tua porta;
E Menulema al fin la tua figliuola
Co’ sue compagne io vidi
Prima di tutte uscir;
Di ricca veste ornata, e lieta,
qual conviensi a figlia
Che al Padre suo va incontro.
Eccola appunto, o Gefte.
<i>Gefte</i>
Absone, taci.
O Dio tu me volesti
Di tutti il più infelice.
<i>Melumena</i>
Caro padre amato Padre
Tu ritorni a consolarmi
Cinto ancor d’usbergo ed armi
Anco in mezzo a queste squadre
La tua destra bacierò.
Su cantate insieme ormai
Tutte liete o mie compagne;
Quei che tanto desiai
A me salvo ritornò.
<i>Coro di donzelle</i>
Menulema cessano cessano
Tanti nostri gemiti e lagrime
Alla vista del tuo genitor.
Tu serena il volto nubilo
E con riso e fretta e giubilo
Venturato accogli e venera
Nel tuo Padre l’eroe vincitor.
<i>Menulema</i>
Anna, tu non osservi
In qual guisa m’accolga il genitore?
<i>Anna</i>
Io ben l’osservo e ne stupisco.
<i>Menulema</i>
Il vedi in sé raccolto
E pallido e pensoso
Non osa alzar lo sguardo
E non ride e non parla e non si move.
<i>Anna</i>
Qualche grave pensier certo l’opprime.
<I>Menulema</i>
Deh perché mai così turbato?
Una parola almen un guardo o Padre.
E in che t’offesi mai?
Forse mi accusi
Di troppo ardita,
Come non si convenga
A una donzella saggia
Lasciar la casa e correre per via
Ad incontrar il suo genitor
Che ritorna e vincitore e sano
E da gran tempo desiato?
Perdona a questo error s’error lo stimi;
Ch’ei fu solo desio
Di rivederti e d’abbracciarti o Padre.
Ma tu non mi rispondi e non mi guardi
E sempre più ti mostri afflitto e mesto.
<i>Gefte</i>
O Dio
<i>Anna</i>
Vedilo Menulema
Come aggitato ahimè!
Batte le mani e le vesti si squarcia
E con la faccia
Sulla terra si stende e si ricuopre
Di polvere la chioma.
Menulema
In questa guisa dunque
M’accogli o Padre?
Ah fia ch’io saggia almeno
La cagion di tua tristezza.
<I>Gefte</i>
Cessa d’interrogarmi,
figlia: né irato io son né m’hai tu offese,
Perché di casa uscisti incontro a me.
Ma perché uscendo
Sei stata la prima ah Dio! Tu se infelice
E misero son io.
Misero son sì sì
Se deggio in questo dì
Perder la cara figlia
E la posterità.
Tu infelice or sei
Se soggiacer tu dei
Per opera del padre
A tal calamità.
<i>Menulema</i>
Padre tu parli oscuro io non t’intendo.
<i>Gefte</i>
Eterno Dio pur deggio
Favellar chiaramente.
<i>Menulema</i>
Ecco o padre a tuoi piedi
La figlia tua che ti scongiura, e prega,
Perché di querelarti
E d’affliggerti tanto ora tu cessi.
Svelami dunque tutto. Io son tua figlia,
S’anco per te dovessi
Morir ben volentier per te morrei.
<i>Absane</i>
Che sarà mai?
<i>Anna</i>
Queste parole Absane,
Moverian a pietà le fere ei sassi.
<i>Gefte</i>
Ahimè figliuola mia
Tu m’hai confuso ed abbassato ed oppresso Ed ingannati ci abbiam entrambi;
Poiché il giorno stesso
Che di casa partij per gir al campo
Sciolsi la lingua e con solenne voto
Di offrir promisi a Dio
Quel che prima uscirà dalla mia porta
Verso di me tornando
Da miei nemici e salvo e vincitore.
E tu figliuola mia
Ahi che’l dolor mi toglie la favella,
E tu figliuola mia tu fosti quella
<i>Absane</i>
O temerario voto!
<i>Anna</i>
O quale io sento orribil caso!
Mi s’aggiaccia il sangue.
Melumena
Padre mio caro
E perché tanti affanni?
Se sciogliesti la lingua
Promettendo questo a Dio sacrificio;
E tu l’adempi, e fa di mie
Come il tuo voto chiede.
Poiché il giusto Signor fatto ha vendetta
De figliuoli, Ammon nemici tuoi.
Absane
Rara costanza!
<i>Anna</i>
O quanto mai diverso
È’l fin da suoi principi! Ella sperava
Uscendo incontro al genitor festosa
Di rimanerne appieno consolata
Ed or di gioia invece e d’allegrezza
Trova cagion di pianto e di tristezza.
Così la pastorella
Lieta correndo al prato
Per cogliere un bel fior la mano stende
Ma tosto egra dolente
E fugge e piagne e grida
Che un empio angue crudel la man le offende.
<i>Absane</i>
Gefte s’io non mi inganno,
Assai più del dovuto
Ora t’affligi e ti quereli spesso
Si mal che puoi fuggir anzi lo devi.
<i>Gefte</i>
O Dio tu cerchi ancora
D’accrescermi la pena
Con queste tue parole.
<i>Absane</i>
Posa, che posa il corpo e in un la mente:
Io spero poi di consolarti o Gefte;
Tornandoti a memoria quelle cose
Che in tuo pro’ sono scritte
Nelle divine leggi
Ora t’acchetta el tuo dolor correggi.
<i>Coro di soldati</i>
Misero capitano egli ritrova
Dura calamità tra suoi più cari
E nella propria casa ond’ei può dirsi
Dopo tanti trionfi e tante glorie
Dopo sì aspra guerra
L’uom più infelice che mai viva in terra.
Così vuol Dio nella cui destra
Stan le vicende e la vita e la morte.
Paese
Lingua
Segnatura
collocazione 659.5
Scheda a cura di Aurora Ricca