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Trascrizione del testo poetico
Se il Ciel ne difende,
Più d’altro non curo,
Felice, sicuro
Non temo vicende;
Ogni cosa è seconda
Quando l’uman desio la sù si fonda.
Testo.
Già deposta dal soglio,
La regia Vasti e stabilita in trono
Ester la bella, il placido Assuero
Alla nuova regnante
Così proruppe incenerito amante.
Assue.
Io son servo e tu reina,
O bellezza, ch’imperi al mondo,
Un tuo sguardo sdegnoso o giocondo
Mi prescrive salute e ruina.
Io son servo e tu reina.
Già consacro in dono a te
Lo scettro temuto,
Che il Fato mi dié;
Tu prendi il tributo,
Tu godi l’omaggio
Di tanto servaggio,
Ch’il Ciel ti destina;
Io son servo e tu reina.
Ester.
La corona, ch’il crine mi cinge,
È catena, che l’anima stringe,
Sempre ancella di tua bontà,
Fin, ch’oppresso da mortal gelo
Questo velo non si distempre,
Fida sempre
I tuoi cenni adorerà
La corona, ch’il crin mi stringe &c.
Assue. Ester. a 2.
Sì, sì,
Si viva, si regni,
Con man ridondante
Ne doni i sostegni
L’Eterno Tonante;
Sì, sì,
Si viva, si regni.
Ogni gioia terrena
Quando è dono del Ciel, sempr’è serena.
Ester.
O gran Padre del Cielo
E quale in me regia virtù scorgesti,
Che sublimar godesti
A monarchia novella
Una sì vile e inesperta ancella,
Al che mostrar volesti,
Che sei mortal sovente
Con forza onnipotente
Ad imperi e trofei chiamati sono,
È sol di tua virtù libero dono.
Un nulla, che tra il nulla ogn’or s’aggira
E che stringer può mai
Con quel vivo desir, che sì l’ingombra?
La nebbia, i nembi, i venti, il fumo e l’ombra.
Il fonte de’ beni
La sù si sta
Quei, che ’l mondo ne dà
A noi sembrano ambrosie e son veleni
Non ci è tema di rischi e non di morti
Quando l’eterno ben dona i conforti.
Testo.
In tanto Aman il Grande
Della grazia real primo tiranno,
A cui fronte non era,
Quantunque invitta, altera,
Che con saggio consiglio
Non inchinasse umiliata il ciglio.
S’irritava, fremeva,
Che fra turbe cotante
Al suo cenno sommesse
Ubbidir Mardocheo sol contendesse.
Aman.
Ardo, moro, che solo
Un miscredente ebreo
Mi contrasti il trofeo,
E mentre il mondo al guardo mio si piega,
So ne’ publici applausi onor mi niega.
Morirà,
Non sarà, chi il difenda
Dall’ira tremenda,
Ch’in petto mi sta.
Morirà, morirà.
La terra, le stelle,
Se meste oratrici
In dolci favelle
Placare vorranno
Mie furie ultrici
Quanto più tenteranno, in van sarà.
Morirà, morirà.
Eun.
Eccolo, che sen viene
Tu, che del regio arbitrio arbitro sei,
Come puoi, come dei
Tollerar, ch’un malnato
Ne’ tuoi scherni ostinato
Con temeraria voglia
Quel, che il mondo ti dà, solo ti toglia?
Risvegliati a vendetta
In tormentosa scena
Apprestagli la pena.
Mard.
Solo a Dio l’onor dispenso,
A lui porto ossequio e voto,
A un’imagine di loto
La mia man non offre incenso.
Solo a Dio &c.
Scatena pur lo sdegno
Al segno, che vuoi tu,
Accenderlo maggiore
Nel velenoso core
Pluton non valgia più,
Scatena pur lo sdegno
Al segno, che vuoi tu.
Mai
Da me non avrai
D’umiliata fronte un lieve pegno
Scatena pur lo sdegno &c.
Ch’io t’adori, oh questo è vano,
Vicino, lontano
Induro a non curarti il mio consenso
Solo a Dio l’onor dispenso &c.
Aman.
Che dirai,
Se vedrai
Schiere armate uscirti innante?
Mard.
T’odiarò sempre costante.
Aman.
Quando poi offriransi agl’occhi tuoi
Mille tombe in un’istante?
Mard.
T’odiarò sempre costante.
Aman.
E quando ogni loco
Di sangue, di fuoco
Tu mirerai fumar tutto tremante?
Mard.
T’odiarò sempre costante
Nelle stragi e negli incendi.
Aman. Mard. a 2.
Tu meco la prendi?
La forza d’un’alma,
Ch’aspira alla palma
Ancor non intendi?
Tu meco la prendi?
Guardati, che vicina è la vendetta.
Chi s’indura nel mal, la pena aspetta.
Testo.
Or Mardocheo che lesse
In fronte a quell’irato il proprio scempio
E la sentenza udì sì cruda e rea
Contro tutta Giudea,
Per riparar la publica ruina
Corse a pregar d’aita Ester regina.
Mard.
Piangi meco, siam morti
Un’ora fatale
A strage mortale
N’attende consorti.
Piangi meco &c.
Già con orrida tromba
Aman tutto Israel chiama a la tomba.
Ester.
Ohimé, che sento, ahi genitor, che narri?
Dal cenno d’un crudel dunque dipende
La libertà, la vita?
Un’alma incrudelita
Con leggi inique al suo voler sol noto
Condurci tutti al funeral ne puote?
Dunque ancora non basta,
Che dal patrio Giordano
Il popolo di Dio viva lontano;
Che sventura più acerba
All’eccidio supremo oggi il riserba?
E vedrò, lassa, me, piovere il sangue
Dall’innocenti vene
E in peregrine arene
Starsi in sepolto il genitore esangue?
E mentre il piangerò, sarà chi fero
Tosto interrompa i miei pietosi offici?
Misera me, che solo
In rimembrar sì lagrimosa scena;
Tramortisco di pena.
Ester. Mard. Aria.
Non sarà, com’ei si crede
L’innocenza ha sempre intesa
Ogni stella a sua difesa;
Anche il sole
Punir suole
Crudeltà, ch’ogni altra eccede.
Non sarà, come ei si crede.
Testo.
In queste voci la regina ardente
Penetrando repente
Al noto soglio del monarca assiro,
Con sì mesto tenore
Chiamò loquace in su le labra il core.
Ester. Rec.
Sposo real, che sei
Come refugio ai giusti,
Così flagello ai rei,
Deh mira, ch’un tiranno
Esempio degl’infidi,
A cui te stesso e li tuoi regni fidi,
Non satio, che soggiaccia alle sue voglie,
Quanto al mondo s’accoglie
Anco la tua consorte,
Che eleggeste a regnar, costringe a morte.
Assue.
Che parli, che dici?
Ester.
Io son ridotta agl’ultimi supplici
Assue.
Che narri, che sento?
Ester.
Resta della mia vita un sol momento.
Assue.
Senza me, che all’orbe impero,
Qual folle, qual fero
Condannarti a morte può?
Ester.
Il dirò, ma consenti,
Che prima alla mia mensa
Per una gratia immensa,
Col favorito Aman ne venga tu.
Assue.
Purché s’intenda,
Chi tanto pretenda,
Andianne su su.
Ester.
Andianne a gioire
Assue.
A mensa festiva,
Che solo ravviva
Il nostro morire.
Ogni altro uman desio e frode e scherno
E tempra sol liceo il duolo interno.
Assue.
Sì sì buon Mardocheo,
Tu che scoprendo già trama sì ria,
Che contro me s’ordia,
Con opportuna aita
Mi stabilisti in vita;
Vieni a parte con noi di gioie e risi,
In guiderdon de’ tuoi salubri avvisi.
Testo.
Erano in punto di sedersi a mensa,
Quando l’alta reina,
Di pallore e di foco impressa il volto,
Fatta loquace anche nel guardo irato,
Con sì flebili accenti
Espresse ad Assuero i suoi tormenti.
Ester. Rec.
E qual credi tu, che sia la Sfinge,
Che con rabbia inaudita
La misera vita,
Di me, del popol mio a morte spinge?
E qual &c.
Assue.
Deh deh
Quel crudo,
Quel fiero,
Quell’empio, qual è?
Ester.
Questo superbo Aman, questo crudele,
Questo nemico, questo
Con lacrimosa sorte
L’innocente Israel condanna a morte.
Assue.
Perfido, rigido, barbaro,
Tu la mia gioia e quanto ben possiedo
Coi fieri arbitij tuoi
Destinar senza fallo a morte puoi?
Ester.
Sì ch’ei ne vuol sepolti,
Mard. La sentenza d’empietà
Ne tuoi regni omai sen va,
Che siam tutti in strage avvolti.
Eì &c.
Assue.
Mora l’infido, mora
Più non respiri,
Si doni ben presto
Con stratio funesto.
In preda ai martiri,
Più non respiri.
Testo.
Così quel capi altero,
Che dalli Numi ancor pretese inchini,
Per decreti divini
Al patibolo istesso i membri assise,
Che a un innocente ebrei pur or prescrisse.
Aria per varie voci.
Nemico di se stesso
Sempre il superbo fu,
Quanto più tende in su,
Tanto più resta oppresso.
Superbi piangete
De’ vostri desiri,
De’ vostri deliri
Son queste le mete.
Superbi &c.
Qui termina il fasto,
L’altezza qui cade;
Sostien vanitade
Le moli, ch’ergete
Superbi &c.
In pena sen va,
Supplicio diviene
La credula spene,
Che strugger vi fa
In brame inquiete
Superbi &c.
L’infausto fin dell’alterezza vostra
Il diroccato Aman chiaro ne mostra.
Paese
Lingua
Segnatura
collocazione 204.3.B.12.88
Scheda a cura di Nadia Amendola