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A’ la ruota, a’ la benda
Il nocchier lasci le sponde,
Invano amanti l’aita chiedete
Di Creta giunse Irene
Io scopro a lui quel valore
Mai non ponno goder mercede alcuna
Sparge invano i sudori, e s’affatica
Dunque ogn’alma vede e prova
Dunque ogn’alma vede e prova Ch’a un sventurato la virtù non giova.
Poi provocati a’ sdegni i miei favori
O regi, voi ch’insuperbite tanto
D’Amor la mercè
Trascrizione del testo poetico
A’ la ruota, a’ la benda
Al biondo crine, al volto,
Chi non sa chi mi sia quanto è pur stolto.
La Fortuna son’ io, ciascun m’intenda.
A me dal Ciel fu dato
A comandare a’ i venti,
E di reggere il mondo, e gl’elementi.
Il nocchier lasci le sponde,
E s’aggiri in mar crudele;
Quando a lui sarò fedele
L’aure, e l’acque avrà seconde.
Sol dall’onde resta absorto
L’infelice cui non lice,
Mentre sorte non ha giungere in porto.
Invano amanti
lL’aita chiedete
A chi vi tormenta:
Io posso darvi
La vita io rendo
Un’alma contenta.
Di Creta giunse Irene
Per cibo del mostro fiero,
Theseo divien prigioniero
Di due pupille serene.
Ma nulla l’amante spera,
Ch’à morte è già condannato;
Amore non cangia il fato,
Il fato ad Amor impera.
Io scopro a lui quel valore
Ch’uccide il mostro tiranno,
E fuori dal cieco inganno
Ritorna poi vincitore.
Felice all’hor che riluce
Diana, nel Ciel festosa
Rapisce l’amata sposa,
E seco altrove l’adduce.
Godendo del bel sembiante,
Vede che sol può la sorte
Ritorre un’alma da morte,
Far lieto un misero amante.
Chi serba fedel Costanza,
E brama mercé da Cupido,
S’amica a lui non arride
È vana la sua speranza.
Le stelle, Amor, la bellezza,
Ministre del mio volere
Non hanno un’alma godere,
Che soffra la mia fierezza.
Se andrà a nuoto, si crede
Solcare l’instabile Egeo,
Ma resta nell’acque un Orfeo,
Né trova pietà sua fede.
Mai non ponno goder mercede alcuna
Costanza e fe’ senza fortuna.
Sparge invano i sudori, e s’affatica
Chi la Ver[tù?] prende,
Se la sorte ha nemica.
Arion [crede?] co ‘l suono
Di placar gl’empi nocchieri;
Chiede sol la vita in dono,
E la negano quei feri.
Pur Orfeo ne’ foschi imperi con la cetra
Quanto brama alfin l’impetra;
E piangendo le sue doglie
Euridice a morte toglie.
Dunque ogn’alma vede e prova
Ch’a un sventurato la virtù non giova.
Altri forse si pensa
Viver da me lontano
Con gir dove rimbomba
Festosa la vincitrice tromba.
Là ne’ campi di Marte
Dove lo sdegno accende ogni guerriero
Che prò, valore et arte
Senza me? Qual campion trionfa altero?
Il compartir le palme è sol mia gloria;
Chi fortuna non ha, non ha vittoria.
Con poche forze abbatte
Le divine potenze il Greco invitto;
Appena egli combatte
Ch’ogni esercito cade al suol trafitto.
Ma de’ tanti trionfi è mia la gloria
Chi fortuna non ha non ha vittoria.
Poi provocati a’ sdegni i miei favori
Il suo laccio vitale
Ne’ la più cara età morte disciolse
E un picciolo marmo un Alessandro accolse.
O regi, voi ch’insuperbite tanto
Sù frenate l’ardire ahi non vedete!
Ch’intenda ancor ne’ vostri petti ‘l pianto.
Se de’ regi splendori
Adornai l’Oriente di vostra breve vita
Non sia l’alma superba e troppo ardita.
Temete, pur temete
Ch’io non turbi il meriggio, o l’Occidente.
Del Britannico re l’infausto caso
V’insegni, ché tal’hora
Chiaro Oriente ha torbido l’occaso.
D’Amor la mercè
Le pompe reali
Le palme, o mortali
Si donan da me.
Seguendo altro Nume,
Invan si presume
Che vostr’alme sian beate.
Sventurate!
La mia ruota a lor danni io volgerò.
Chi fortuna non ha goder non può.
Paese
Lingua
Segnatura
collocazione Mss 2565.10
Scheda a cura di Federica Zaccari