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Titolo uniforme
Trascrizione del testo poetico
I
Nel partir dal patrio suolo,
Con l’amor pur meco viene
La memoria del mio bene
Che m’è forza abbandonar:
A Partenope men volo,
Indi solco il Mar Tirreno,
E afferrando il Tosco seno;
Rendo grazie ai Dei del Mar.
Varco i gelidi Appennini,
Adria scorro e il suol Lombardo,
E dovunque o penso o guardo,
Veggio e sento amor con me:
Ma l’orror dei gioghi alpini
Lo sgomenta e lo trattiene.
La memoria del mio bene
Vien; ma seco amor non è.
Disgravato il core offeso
Del rio pondo di sua pena,
Lieto è sì: che sente appena
L’orridezza del sentir:
Uom così cui grave peso
Fè gran via gir curvo il fianco,
Se il depone; ancor che stanco,
Pur va libero e leggier.
Ninfe giovani amorose
Veggio in riva ai Galli fiumi
Vive allegre e nere i lumi,
Lusinghiere e tutte ardir:
Colorite spiritose
Movon l’animo a vaghezza;
Ma d’amor non va la frezza
Dove nascono i sospir.
Il Tamigi bellicoso
E’ un riposo al lungo giro,
Dove in placido ritiro
Sta la cara libertà:
Qual gentile e numeroso
Stuol vegg’io di ninfe belle!
Ed oh quanto ammiro in quelle
Leggiadra vezzo e beltà!
Vanno acconcie i corti crini
Con tal’arte; che par senza:
Ma la vaga negligenza
Viepiù bello il bello fa:
Vanno avvolte in sete e in lini
D’una semplice ricchezza.
Oh qual fregio è alla bellezza
La gentil semplicità!
De’ capegli al manco lato
Stuol di fior vari s’innesta,
Che leggiero della testa
Secondando i moti va.
Tal si pinge il crine ornato
Alla vaga primavera
Cui scherzante e nuda schiera
D’amorini intorno sta.
Snelle i fianchi, i piedi leggiere,
An biondissimi capelli
Che innocenti come belli
Apparir fan gli occhi e il cor:
Non superbe, ma severe,
Ritrosette non curanti:
Fan però nei fier sembianti
Non so che spirar ’amor.
Pur sembianze così rare
Per biondezza e bianco aspetto
Feron gli occhi; e nulla al petto
Gir può l’alma ad assalir.
Fuggo e non perché penare
Temo in nova servitù:
So che spesso è dolce più
Ch’esser sciolto, un bel servir.
Mi condusse in prima il fato
Da una bella ninfa bruna,
Se per buona o ria fortuna;
Penso ancor, ma dir no’l so:
So ben dir che dolce è grato
Fummi allor quel prim’oggetto;
Che a star seco ho un tal diletto
Che lontan da lei non ho,
Sul mio libero volere
Io non fabbrico gli dei:
Ma veder parm’in costei
Non so che più che mortal:
La virtude è il suo piacere,
E’ magnanima, è gentile,
E sua grande Alma virile
Tutte forti incontra egual.
Taccio i pregi del bel viso
di beltà di vezzi pieno:
Taccio il molle e colme seno,
La man tersa, il picciol piede:
Taccio quel celeste riso
Che abbellisce la divina
Dolce bocca porporina,
Dove il seggio amor si fece.
Chi sia che abbia avvezzo il guardo
Ad oggetto così bello;
E che poi lontan da quello
Fissi altrove il suo pensier?
Pur l’ammiro, ma non ardo:
Perché temo che il rigore
In tormento cangi amore
Che è la fonte del piacer.
Ma non so se il guardo miri,
O se pur desio la finga,
In quegli occhi una lusinga
Di speranza e di mercé:
Occhi cari ai miei sospiri
Arridete s’egli è vero;
Ma girate il guardo fiero
Occhi bei, se ver non è.
S’egli è ver; vedrete allora
Vivo figlio dell’affetto
Qual di speme e di diletto
Bell’ardir si può destar:
S’ei non è; vedrete anco
Di viltà nemico il core
Nel suo tacito timore
Ammirarvi e non amar.
Paese
Lingua
Segnatura
collocazione 74.R.34.35
Scheda a cura di Bianca Marracino