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Trascrizione del testo poetico
Diversis diversa placent.
Canzonetta seconda
Sembri pure a chi si vuole
Bello il brutto, e brutto il bello:
Quel modello prender suole,
Che d’ognuno il cuor gli da.
Fu già tempo un tempo fa,
Quando il bel già piacque a tutti.
Begli, o brutti or sian gli oggetti,
Donan loro i nostri affetti
La bruttezza, e la beltà.
Sembri pure a chi si vuole c.
Cresciuto dunque il numeroso stuolo
Del Gregge Umano, e reso l’orbe angusto,
Mancò la preda, e dileguò in un volo
La Cuccagna del secolo vetusto,
Sottraendo la FAME
Lunga, magra, e distrutta
Di donna brutta un infelice ossame.
Questa occupò della Cuccagna il trono,
Cercò marito, e lo trovo a fatica
Brutto, e fatto a l’antica,
Detto per sopranome il POCO, e BONO.
Da questo ebbe due figli ambo gemelli,
Molto avvenenti, e belli,
Detti per ciò da lei GUSTO, e SAPORE
Prole gentil, d’un affamato amore.
Finché non ha la Fame
Di che appagar sue brame,
Tormento, e pena da.
Se ciò che brama ottiene,
Di mal diventa bene,
Di pena in Gusto va.
Finché non ha la fame c.
Vago il SAPOR di riuscire un uom saggio,
Diessi agli studij, e diventò sì dotto,
Ch’ebbe da lui la SAPIENZA il nome
Ma poscia, io non so come
Dalla sorte condotto
Mentre a veder l’Italia era in viaggio
Fu da un LUPO LOMBARDO al primo arrivo
Che fece in quel paese
Visto assalito, e divorato vivo.
Più cara il GUSTO ebbe la vita, e perse
Varie Consorti in varj tempi e quando
Sazio era d’una, un’altra
N’avea sempre al comando, a segno tale
Che dall’artico polo al polo australe
Sparse de i figli suoi la razza scaltra.
Prima però, che ‘l genitor morisse
Quanti adunar poté
Chiamolli a sé, fe’ testamento e disse:
Cari Avanzi di Stirpe Magnanima,
Io vi lascio esalando già l’anima
L’unione, la pace, l’amore.
Giacché roba non tengo do il core,
Giacché fondi non ho, do consigli.
Chi nell’opre mantiensi de i Figli,
Benché muoja del tutto non muore.
Cari Avanzi di stirpe magnanima c.
Così dicendo egli morì, e ne dura
Su la LINGUA di tutti
Viva pur’ora, e celebre la FAMA.
Finché sotto la cura
Furo del Padre i Figli, o per paura
Delle sferzate, o dall’ossequio indutti,
Visser fra loro in amistà, ma tolto
Di vita il Genitor, non andò molto,
Che per ingorda brama
D’aver tutti lo stesso, empi e ribelli,
Né mai dal suo contenti,
Cominciaro a strapparsi ora i capelli
Furo della testa, ora il boccon de’ denti.
Tanto è verace illa sententia Patrum,
Che sempre fu rara concordia Fratrum.
Non è non è amicizia,
Dov’è timor, che ghiotto
La preda fuor di sotto
Altri c’involi.
Da troppa gelosia
La compagnia di tanti.
Ciò che a gelosi amanti
Condisce ogni delizia
È l’esser soli.
Non è non è amicizia c.
Né molto andò, che di civile guerra,
Mentre con ostinata empia congiura
Tutti del Gusto suo sieguon la guida,
Si vide arder La terra.
L’infelice Natura,
Come Madre comune alzò le strida
Contro de’ Figli, e fe’ ricorso a Giove.
Mosso a misericordia
Sentilla questi, e dove
Da concordi lor Genij ogni discordia
Nascer conobbe, alzò la testa, e in atto
Di machinar gran cose,
Grattossi un tratto, e poi rispose.
Vanne o figlia, e così fa:
Quanti Umori erran per aria
Di contraria qualità
Tu gli stempra, e fanne unguenti
Differenti di Sapore.
Sarà ognun di quell’Umore,
Di cui unto egli sarà.
Vanne o figlia, e così fa c.
La Natura ubbidì: colse gli Umori,
Ch’eran per aria, e ne fe’ varj unguenti,
Poi ne tinse al di fuori,
Mentre l’orbe nel sonno era sommerso,
Le labbra a tutti, e ne colò sui denti
D’ognun di loro il suo liquor diverso.
Ben si scoprì l‘inaspettato effetto,
Quando uscendo di letto,
Pieni di meraviglia, e di stupore,
Chi d’un trovossi, e chi d’un altro Umore.
Paese
Lingua
Segnatura
collocazione VOL. MISC. 177 1.2
Scheda a cura di Chiara Pelliccia