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Titolo uniforme
Bibliografia
Trascrizione del testo poetico
Quel dì, ch’il Padre eterno
Pieno di sdegno il ciglio
Su l’altar de la croce
A saettar s’accinse il proprio Figlio;
Sparso di sangue il viso
Non più dal Paradiso,
Ma da le cime eccelse
Del Calvario dolente
Girò lo sguardo il Redentor del mondo
E fra duri tormenti
La sua lingua disciolse in questi accenti,
O voi, che per la via il pie’ movete,
Degli occhi vostri i giri
Pietosi in me volgete;
Mirate i miei martiri
E dite in sì gran male,
Se c’è tormento al mio tormento eguale.
Rispondi, ohimé, rispondi
Popolo a me sì caro,
In che t’offesi mai,
Che di soccorso avaro
Prepari al tuo Signor Fato sì rio?
Empio popolo, ohimé, che t’ho fatt’io?
Forse perch’al tuo piede
Là ne’ campi d’Egitto
Sciolsi di servitù lacci e catene;
Fra diluvj di pene
Rendi, a chi ti salvò, questa mercede?
Forse perché pietoso
Ne’ tuoi lunghi viaggi
Lucida scorta a le tue piante accesi;
Tu con barbari oltraggi
Sbandito ogni riposo
A mio danno di rabbia il petto accendi?
Folle, che non rispondi?
Qual cieca nube impura
Negli abissi profondi
De la tua mente il chiaro raggio oscura?
Son pur, son pur quell’io,
Che dai campi del Cielo
Per deserta contrada
Seppi con puro zelo
Piover manna e rugiada
Per satiar pietoso il tuo desio;
Son pur, son pur quell’io:
E tu con man crudele,
Acciò ch’in parte il tuo livor s’acchete,
D’amarissimo fele
Stilli rugiade ad ingannar mia sete.
Mira, son pur quell’io,
Ch’a tua difesa intento
Tuo Creator, tuo Dio
Per l’ondoso elemento
Al tuo pie’ fuggitivo il varco apersi;
Io son quel, ch’a tuo scampo
Con trionfi di gloria
Nel procelloso campo
L’ire vendicatrici e i re sommersi.
Misero, ma che vale,
Se crudo in un baleno
Vago d’ogni mio male
A chi t’aperse il mare, apristi il seno?
Empio popolo ingrato
E qual de l’amor mio
Potea darti mia man segno maggiore?
Io di flagelli armato
Giusto vendicatore
Con forte braccio invitto
L’ampie contrade a funestar mi presi
De l’arenoso Egitto:
E tu sempre più crudo
Con flagello di doglie
Sovra il mio dorso ignudo
Stancasti il tuo furor, ma non le voglie.
Misero, in che t’offesi?
Io son, che riverito
Di novi lampi adorno
Famoso in ogni lito
Correr feci d’intorno
Del tuo scettro reale il fasto e ’l nome
E di regni abbattuti e genti dome,
Io son che di splendore
Su la tua fronte inghirlandai le chiome:
E tu quello sei tu,
Ch’in dura servitù
Quasi a re di dolore
Prendi d’acute spine
Con la tua mano a circondarmi il crine.
E questi, e questi sono
Gli scettri e le corone,
Ch’il tuo amor, la tua fè su ’l crin mi pone
Che più, che più ragiono?
Io son, che d’alti fregi
Sovra gemmato soglio
Alzai tuo piede a calpestare i regi:
Lasso! e tu fai con inusato orgoglio,
Con tormento più atroce
Del monarca del Ciel trono una croce.
Paese
Lingua
Segnatura
fondo Borromini
collocazione S. Borr. Q.IV.223.58
Scheda a cura di Nadia Amendola