Scheda n. 7595

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Testo per musica a stampa

Data

Data certa, 1667

Titolo

Contra gli astrologi al Signor Gasparo de Simeonibus allora che la Santità di N. Signore Urbano VIII publicò la bolla contra i giudiciari. Non ha più querce il mondo

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Benigni, Domenico (1596-1653)

Pubblicazione

Copia

Descrizione fisica

Parte prima, pp. 61-65

Filigrana

Non rilevata

Titolo uniforme

Non ha più querce il mondo. Forma non specificata, Contra gli astrologi al Signor Gasparo de Simeonibus allora che la Santità di N. Signore Urbano VIII publicò la bolla contra i giudiciari

Bibliografia

Trascrizione del testo poetico

Non ha più querce il mondo,
Che fatidiche altrui svelino i fati:
Chiudon usci stellati
De l’eterno destino il sen profondo:
Più non penetra, o vince
Pareti adamantine
Curioso mortale occhio di lince:
Solo l’ampie cortine
Sanno veraci aprir menti divine.

Da le serene porre
Piove destra increata aura di luce,
Che sola altrui conduce
Sovra il soglio, cui serva in Ciel la sorte.
Ma dove arco d’ingegno
Tra vani oggetti e frali
Posto non ha di sue saette il segno?
Negli abissi immortali
Fa volar di qua giù pennuti strali.

Ignoto e senza nome
Tinto di sangue ancor ne’ proprij giri
Per gli eterni zaffiri
Marte non dispiegava orride chiome.
De’ lor paterni artigli
Ancor l’ire pungenti
Non temean di Saturno i regij figli.
Tra splendori lucenti
Fiammeggiavano solo astri innocenti.

Ma che? ne’ campi immensi
Ardì primier di Mauritania il veglio,
Quasi in candido speglio,
Folle mostrar d’immobil Fato i sensi.
Tra chiari lampi e raggi
A le luci più belle
Di segnar’ei tentò strani viaggi;
Ond’imparar le stelle
Fatte serve a soffrir leggi novelle.

Dite, lumi del Cielo,
Di quai miraste allor portenti e mostri
Sovra gli aerei chiostri
Sparso rotar de l’atra notte il velo?
Da l’inospite selve
Con temuti furori
Manda Grecia ingegnosa in Ciel le belve;
Perché tra vivi ardori
Segnino al sole i peregrini errori.

Per l’ondose campagne
Lanuto notator dal patrio albergo
Lunge porta sul tergo
Vergine, che nel duol sospira e piagne.

Preme di fuggitivo
E nobil toro il dorso
Di pudica beltà furto lascivo:
Fugge il ladro e soccorso
Chiedono i pianti invan contra il suo corso.

La fiera man che tuona,
Stampa non conosciuta orma ferina;
E de la sua rapina
Già custode vegghiante al mar si dona.
Creta, che riverente
I primieri vagiti
Del monarca de’ numi udì sovente,
Stupida allor sui liti
Del mar giunger sentì gli ampi muggiti.

Prodigioso innesto
Misto a lieve destriero uman sembiante
Curva d’intorno errante
Per l’Emonie spelonche arco funesto.
Svena destra guerriera mole di crudo sangue
Entro boschi Nemei barbara fiera.
Estinte a terra langue
Qual più nutre il velen pestifer’angue.

Ma di greggia sì chiara
Qual ebbe il mondo allor mandra più degna?
Albergarla non sdegna
Il Cielo e suoi raggi a lei prepara.
Fra le luci più pure
Splendono i mostri orrendi
Fatti fabri la su d’altrui venture.
Nel suol le fere offendi
Mortal e in lor le tue fortune attendi?

Misero, o quale il seno
Negli error tuoi folle pensiero accoglie!
Sole son le tue voglie
Fabre del tuo destin fosco, o sereno.
Con non mai stanca lena
Corre figlio di Giove
Calle, ch’in duo diviso i passi affrena.
A strane forme e nove
Brama il corso affrettare e non sa dove.

Del gemino sentiero
Su le soglie dubbioso il pie’ sospende:
Indi sicuro intende
Ch’ivi stassi suo fato, o lieto, o fiero.
Con ardir generoso
De’ duo scieglie il camino,
Che duro s’offre in vista e faticoso
E con spirto divino
Sparge i semi qua giù del suo destino.

Né perché altrove il chiame
L’altro, che lasciò pria vile e negletto,
Nel magnanimo petto
Sente men calde l’onorate brame.
Preme la via, che scelse,
Perché lieto se ’n varchi
Il pie’ guerrier tra chiare glorie eccelse
E di sue palme carchi
Mira vittorioso i lucidi archi.

E pur contra i trionfi
S’armò d’eroe sì grande ira celeste.
Ma legge è, che calpeste
Uom saggio i fati e vincitor trionfi.
Bene è folle quel core,
Che d’aspre acerbe note
Armato il ciel minaccia, o ’l suo rigore:
Se stesso accusi, o note,
Non son ree d’empie sorti eteree ruote.

Folgoreggi in Liberto
Scettro, ch’arma su’l Tebro augusta mano
Fulmini il grande URBANO
Nel sacrilego stuol l’ire di Pietro.
E tu, che pur d’alloro
Fregi tuo stile e armi,
Fa sugli empi tonare arco canoro,
GASPARO: de’ tuoi carmi
Non ha Febo qua giù le più bell’armi.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Rv - Roma - Biblioteca Vallicelliana
fondo Borromini
collocazione S. Borr. Q.IV.223.12

Scheda a cura di Nadia Amendola
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