Scheda n. 7592

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Testo per musica a stampa

Data

Data certa, 1667

Titolo

Che l’istoria supera l’ingiurie del tempo. Si loda l’Eminentissimo Signor Cardinal Bentivogli al Signor Conte Andrea Barbazza

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Benigni, Domenico (1596-1653)

Pubblicazione

Copia

Descrizione fisica

Parte prima, pp. 47-52

Filigrana

Non rilevata

Titolo uniforme

E chi m'insegna a guerreggiar con gli anni. Forma non specificata, Che l'istoria supera l'ingiurie del tempo. Si loda l'Eminentissimo Signor Cardinal Bentivogli al Signor Conte Andrea Barbazza

Bibliografia

Trascrizione del testo poetico

E chi m’insegna a guerreggiar con gli anni;
Perch’ad onta del fato
Oggi del tempo alato
Con man vittoriosa io svella i vanni?
Forse ne’ marmi insulto
Chiaro nome regale
Sprezza de l’empio il periglioso insulto;
E de la fama per lo Ciel su l’ale
Vincitor de l’oblio vola immortale?

Se de l’età, ch’arma di penne il piede,
Rintuzzar l’ire e l’armi
Sotto scudo di marmi
Luminoso il Destino altrui concede;
Su l’antenne volanti
Sciogliete pur, sciogliete
Le vele egri mortali a l’aure erranti;
E sotto stelle or nubilose, or liete
De l’immenso ocean l’onde correte.

Ite veloci e la dorata prora
Volgete, ove le fronti
Ergon di Paro i monti
Superbi a l’etra ad oscurar l’Aurora
Per l’Affricane arene
Al vostro ardir Numidia
Scopra del vasto sen tutte le vene;
E sudi poscia a debellar l’invidia
Tributaria per voi l’arte i Fidia.

Miseri, e qual di fama aura lontana
Vostri desiri alletta?
Dove l’arco saetta
Degli anni alati; ogni difesa è vana.
O qual sul Campidoglio
In fiero volto e atro
S’apre scena funesta al vostro orgoglio!
Là, v’è d’oro più ricco arco o teatro
L’ampia fronte inalzò, corre l’aratro.

So ben, che d’Elicona il nobil coro
Entro bosco frondoso
In forte muro ascoso
Chiude d’inni canori aureo tesoro:
Aureo tesoro eterno,
Che de’ nembi frementi
L’ire non teme e non paventa il verno
Che da nubi guerriere il cielo avventi,
O procellosi in mar portino i venti.

Di pretiosa ambrosia asperse intorno
Miro, o vergini Dive,
Di Castalia le rive;
E più bello spuntar di gloria il giorno.
Ma di sì ricchi pregi,
Di splendor sì verace
Tanto avvien, che virtù s’adorni e fregi;
Che livido talor, con vostra pace,
Osa il mondo chiamar Pindo mendace.

È verità lucido speglio ardente:
Coronato di lampi
Qualor più chiaro avvampi
Ne’ suoi viaggi il sole, è men lucente
Non ha il tempo pupilla
A sostener bastante
Di sì chiaro fulgore una favilla.
Rimirar tanta luce ah non si vante;
O siano immote a tanti rai le piante.

Or chi la destra in sì temuto agone
Grava d’armi sì belle?
Chi di palme novelle
Quindi saggio al suo crin tesse corone.
Voi, voi, che di vitali
Stille i fogli vergate
E di memorie, gloriosi annali,
Con industri vigilie altrui sacrate;
Voi di tanto splender le penne armate.

Tu dillo, tu, che di valore e d’ostro
Fregi, GUIDO, le chiome;
Già per te vinte e dome
L’ire se ’n van del velenoso mostro.
Dove non scioglie il volo
La tua candida penna,
Non speri i nomi erger la fama al Polo;
Portar’altrui sui vanni indarno accenni,
Vie più bella per te suo volo impenna.

Marte, che de la Schelda entro le sponde
D’ira gravido il petto
D’orrido tosco infetto
Tinte di morte al mar cortese fè l’onde;
Or di sangue vermiglio
D’ogn’intorno raggira
Ne le tue carte vergognoso il ciglio;
E chi già di sua man trafisse, ei mira,
Che tua mercé vive a la gloria e spira.

Soffri, ch’un volo, o saggia Euterpe, io scioglio
Sui campi di Neuporto:
Dal tuo favor là scorto
Me di Marte a cantar Parnaso invoglia.
Orride trombe altere
Destano in suon feroce
Quinci e quindi a pugnar squadre guerriere
E con sembiante orribilmente atroce
Sanguinoso il furor scorre veloce.

Gravidi il sen di morte e di spavento
Tuonan fieri metalli
A nitrir de’ cavalli
Geme orribil di guerra ogni concento.
Polveroso per tutto
Già par, ch’il sol s’imbrune:
Spira il Cielo sdegnato orrore e lutto;
E di sangue regal nel duol commune
Su l’ocean porporeggiar le dune.

Ma qual veggio di duol nube funesta,
Ch’a l’aura del mio canto
Calde stille di pianto
Sul nobil ciglio al mio Signore appresta?
Del giovinetto estinto
German, GUIDO, non prema
Fè l’aspro fato chi di ferro cinto
Pugna, Campion del Ciel, morir non tema:
Chiaro l’elmo sul crin cangia in diadema.

Sotto i colpi ben può d’arco omicida
Cader sul più bel fiore
Una vita, che more,
Quando sembra più vaga e par che rida:
Ma ne’ tuoi fogli illustri
Fra splendori di gloria
Sorge più chiara a trionfar de’ lustri.
Oh qual vita gli dà bella memoria.
Tanto puote qua giù lingua d’istoria.

Del guerrier di Tessaglia in su la tomba
Gema l’eroe di Pella
Il rigor d’empia stella,
Ch’a suoi fasti non diè Meovia tromba,
Per chi vide Scamandro
Pugnar feroce e forte,
Stral d’invidia non punge il tuo Alessandro
Nome cui dier tua penna i fati in sorte,
Fortunato non teme arco di morte.

Ma dì, folle mio cor, qual’oceano
Oggi a solcar ti prendi?
Su l’arena sospendi
Cauto le piante al tuo desire invano?
Tu BARBAZZA, le vele
Omai disciogli ardito
In mar sì vasto; e frema Austro crudele.
Già per l’alto volar piena dal lito
D’aure feconde io la tua prora addito.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Rv - Roma - Biblioteca Vallicelliana
fondo Borromini
collocazione S. Borr. Q.IV.223.9

Scheda a cura di Nadia Amendola
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