Scheda n. 7586

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Testo per musica a stampa

Data

Data certa, 1667

Titolo

Al Signor Marchese Sforza Pallavicino oggi Cardinale. Spinto così da crudo arco guerriero

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Benigni, Domenico (1596-1653)

Pubblicazione

Copia

Descrizione fisica

Parte prima, pp. 42-46

Filigrana

Non rilevata

Titolo uniforme

Spinto così da crudo arco guerriero. Forma non specificata, Al Signor Marchese Sforza Pallavicino oggi Cardinale

Bibliografia

Trascrizione del testo poetico

Spinto così da crudo arco guerriero
Per gli aperti de l’aria immensi giri
Non trascorre già mai veloce strale;
Che suo volo, Signor, via più leggiero
Agitata dal duol de’ suoi martiri
Non affretti al morir vita mortale.
Dì con forza fatale
Su le ruine altrui fatta possente
Morte a danno comune arrota l’armi:
Né contra il furor crudo
Ponno de l’empia Arciera i bronzi e i marmi
Fabricar saldo scudo:
Che sotto amica sol stella lucente
Riportar può di lei degno trofeo
Alma che tratta in Pindo arco febeo.

Tanto lassù ponno di morte a scorno
D’aurea cetra immortal puri concenti,
E di canora man plettro facondo.
Quei, che di gemme e di piropi adorno
Preme su carro d’or gl’Indi lucenti
Coronato di raggi il suo crin biondo;
Poi che risorse il mondo,
E prese alpestre sasso al petto umano;
Di famosa faretra il fianco armato,
Contra le Damme in selve
Stanco già d’incurvar l’arco dorato,
Su le più crude belve
Vittorioso armò l’invitta mano;
E da stellati e sempiterni chiostri
Avvezzò l’arco a fulminare i mostri.

Quanto l’Etra nodrir, l’onda e la terra
Allor sepper d’orrendo e di feroce
In sen chiuse natura al fier Pitone.
Ch’ei sostener con velenosa guerra
Osò del biondo Dio lo sdegno atroce:
Ma tosto in perigliosa, aspra tenzone
Del celeste campione
Sentì l’armi sonanti entro le vene
Con ‘l sangue dissetar l’alto desire,
Che nel petto divino
De l’Arciero immortale accese l’ire:
E tra vario destino,
Che di sangue mortal bagnò l’arene,
Al mondo, che languia, con strana aita
Rese nel suo morir dolce la vita.

Ma chi d’Apollo l’onorata scorta
Per le Tespie pendici a seguir prende;
Contra fera più cruda incurva l’arco,
Che dal grembo di Lete a l’aure sorta
I chiari nomi dispietata offende
E le memorie altrui conduce al varco.
E in un leggiero e scarco
Rapidissimo il tempo i vanni affretta:
Ma stral, ch’in Elicona esce di cocca,
Da le famose cime,
Vinta l’empia nemica al suol trabocca
E l’abbatte e l’apprime:
Che solo altrui per immortal vendetta
È dato in Pindo dopo lunghi affanni,
Con trionfante piè calpestar gli anni.

Ben per sottrarre a l’empia fera il nome,
Anch’io tento d’alzarmi, ove rimbomba
Sonoro grido di chi già cantando
Fregiò di lauro le famose chiome.
E già da lungi odo la doppia tromba,
Onde eterno vivrà Goffredo e Orlando,
Che de l’eroe Normando
A cantar l’alte imprese il cor mi desta.
Ma non giunge mio stile a tanto obietto;
Onde assiso sul lido,
Di novello stupore ingombro il petto,
Veggio con nobil grido
Coppia di cigni, che veloce e presta
Varca d’Alcide i gloriosi segni;
Et in mar nove mete alza agl’ingegni.

Ma di gloria varcar mete sì belle
A chi serva fortuna e al qual volo?
A voi (Signor) l’eterna gloria e ‘l vanto
Prodigo il ciel destina e l’auree stelle;
Che già da lungi abbandonato il suolo
Vi scorge il mondo a que’ gran cigni accanto.
Con fortunato canto
Giovinetto emular le Trombe d’oro.
Contin ne’ pregi lor le cetre argine,
Che le fere selvagge
Trasser canore da lontan rive;
Che voi l’alme più sagge
Punte d’alto stupor da l’Indo al Moro
Glorioso rapite e intenti e muti
Tacciono al vostro suon plettri canuti.

La vergin dea, che peregrina errante
Questi fuggì del mondo alberghi impuri,
E fe’ ritorno a nove glorie in cielo;
Cortese a voi da la magion stellante
Spiega de’ suoi pensier gli abissi oscuri.
Quindi in Dodona l’alta quercia e in Delo
Il fatidico velo
Cedono vinti a voi: che più non puote
Celar natura, come ricca in seno
Chiude cagioni e opre;
O come strine agli elementi il freno:
Che bene a voi si scopre
Con qual forza del ciel l’eteree rote
Movon secrete il mondo e con qual legge
Fabbricollo natura, Astrea lo regge.

Là ne’ lucidi abissi, ove a se stesso,
Mentre se stesso intende, egual produce
Intelletto increato eterna prole;
Ed ambo uniti poi, con bel riflesso
Spiran divino amor, ch’arde e traluce;
Vostro spirto reale alzar si vuole;
E qual’aquila al sole
Sostener di quei raggi il puro lume;
Onde più che mortal la voce suona.
O felici gli eroi
Di cui cigno sì grande in Elicona
Canta ne’ versi suoi;
Che de l’oscuro oblio varcato il fiume
Già più non denno con funesta sorte
Inimico temer colpo di morte.

Qui canzon riverente arresta il passo;
Che troppo il calle è faticoso e erto
E non giungon le lodi a tanto merto.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Rv - Roma - Biblioteca Vallicelliana
fondo Borromini
collocazione S. Borr. Q.IV.223.8

Scheda a cura di Nadia Amendola
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