Scheda n. 7141

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Testo per musica a stampa

Data

Data certa, 1667

Titolo

Al medemo Sig. Principe che ritiratosi dagli affari pubblici per causa della salute dimorava a Nettuno

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Benigni, Domenico (1596-1653)

Pubblicazione

Copia

Descrizione fisica

Parte prima, pp. 8-13

Filigrana

Non rilevata

Titolo uniforme

In bel cinto di mura. Forma non specificata, Al medemo Sig. Principe che ritiratosi dagli affari pubblici per causa della salute dimorava a Nettuno

Bibliografia

Trascrizione del testo poetico

In bel cinto di mura
Là, v’è d’ostro regal Tiro fiammeggi,
D’ambitiosa cura
Ingannando lo stesso altri vaneggi.
Con speranze di gloria incerte e tronche
Nobil manto sospiri,
Ch’avido dissetar Sidonie conche:
Che sian lagrime amare, aspri martiri
In felici trofei de’ suoi desiri.

Di più torbide notti
Vegghi tra vani orrori ombre gelate:
Da riposi interrotti
Corra tosto a calcar soglie dorate:
Là tra lampi d’onor, ch’arde e sfavilla,
Glorioso trionfi
Più che d’amica tromba, al suon di squilla:
Misero, e che sia poscia? in van ti gonfi:
Sotto poveri sogni i tuoi trionfi.

Entro rieco soggiorno,
Dove splendon superbe aurate travi,
A schiera errano intorno
Con algente timor le cure gravi.
Sovra gli usci più chiari e più lucenti
Fra stuolo ossequioso
Vegghiano, chiusi il ciglio, i tradimenti;
E contra mento or d’ostro, or d’or pomposo
Entra intento a le morti il ferro ascoso.

Tal di gemme Eritree
Fregia la fronte e incorona il crine,
Che d’aspre voglie e ree
Porta fisse nel core acute spine.
Tal e e regie pompe in vista altero
Su nobil soglio aurato
Spiega le glorie del tuo vasto impero,
Che tra falangi, ond’ha lo scettro armato,
Sola invidia compagna ha sempre a lato.

Su le mense più chiare
Versa frode crudel succhi letali,
Che di lagrime amare
Fan d’intorno ulular soglie regali,
Sia meco il ver; dal bel confine Eoo
Con luminosi fregi
Quante volte se n’esce Eto e Piroo,
Tate da l’ombre oscure al fasto, ai pregi
De le corone lor nascono i regi.

Vane pompe mendaci,
Saggio chi da voi fugge e si dilegua:
Vostre cure mordaci
D’umil tetto non han più nobil tregua.
Selvaggio avitator da colli oscuri
Coglie cibi negletti, ma soavi e puri;
Ch’almeno in libertà fra suoi diletti
Non teme sian d’atro veleno infetti.

Lunge da fieri inganni
Preme con sciolto piè l’ampie campagne
Ch’aspre doglie ed affanni
Non flagellano il seno, onde si lagne.
Vassen talor per ermi boschi e quivi
Colmo di gioia intende
Garrir gli augelli e mormorare i rivi:
Ch’in più soavi e nobili vicende
Mormora l’innocenza e non offende.

Signor, se ben le frodi
Ne la sorte real tu non provasti,
Ne’ quai viluppi e nodi
Tessano, a chi n’è cinto, i regii fasti;
Che pio stringendo a la fortuna il moso
Tra gli ostri sacri e gli ori
L’invidia istessa ti suppose il dorso;
E fur i tua virtù fregi e allori
Signoreggiar più, che gl’Imperi, i cori.

Pur qual viver quieto
Corservi altri l’amenità d’un lido,
Intendi appien, che lieto
Cangi in alpestre scoglio il patrio nido.
Là, vetra rotte e flagellate sponde
Serba l’antico nome
La riviera sacrata al dio de l’onde,
O quai lauri germoglia a le tue chiome
Un Nettuno vi più, che cento Rome.

Ivi deposto il pondo
De l’Impero talor posaro i regi
De l’Italia e del mondo;
E cesse Roma al nobil’Antio i pregi.
Ma costì neghittoso or tu non siedi:
O quai memorie serva
Il lido umil! Scrivi, contempli e vedi
Divenute le moli arena e erba:
Quinci ne sferzi ambizion superba.

O potess’io novello
Fabro formare a mio volere i fati!
D’un leggier venticello
Con lieta man sciorrei la prora ai fiati:
Né temer saprei già, ch’Austro crudele
Con le sue furie accese
Irato uscisse a guerregiar le vele.
Contrasta il Cielo a più sublimi imprese:
Umil fortuna non paventa offese.

Con generoso ardire
Arma di lievi penne il dorso illustre,
Perché gli sdegni e l’ire
Fugga d’iniquio re garzone inlustre,
S’erge su l’ali e giovanil vaghezza
Verso l’eterea mole
Veloce il porta a più sublime altezza.
La su sorse così ritornar suole
L’augel ch’i figli riconosce al sole.

Ma dove, dove audace
Inesperto fanciul movi le penne?
De la fiamma vorace
E chi l’ardor cocente unqua sostenne?
Ecco sciolte le piume; ecco fra l’onde
Le temerarie spoglie
E in un se stesso il giovinetto asconde:
Et al mar, che pietoso in sen l’accoglie,
Ne le proprie ruine il nome ei toglie.

Ma nel fiero periglio,
Ch’altrui morte minaccia, opra e aiuto
Con più saggio consiglio
Chiede a le penne il genitor canuto.
Fugge l’Etra più puro e fugge i campi,
Che spavento e terrore
Nutron la su tra fieri tuoni e lampi.
Fende l’aer più basso e vincitore
E a lui dato schernir l’ostil furore.

Tanto può saggio volo.
O felice cui diè stella feconda;
Se ben lungi dal suolo,
Le vele a posta sua ritirar da l’onda
Si potess’io (che di mia sorte pago
D’ambitiosa frode
Non albergo nel petto il mio cor vago)
Seder vie più di lui vigil custode.
Alma, che nulla brama, il tutto gode.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Rv - Roma - Biblioteca Vallicelliana
fondo Borromini
collocazione S. Borr. Q.IV.223.2

Scheda a cura di Nadia Amendola
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