Tipo record
Tipo documento
Data
Titolo
Presentazione
Legami a persone
Redazione
Descrizione fisica
Filigrana
Note
Copertine e dorso in similpelle marrone. La prima e la quarta copertina presentano una cornice a impressione dorata e riccamente decorata. Al centro della prima copertina in caratteri dorati il titolo I LAMENTI D’ORFEO | DI | GIO.ALB.RISTORI. Sul verso del primo risguardo, in basso a destra, una segnatura barrata (B695) che si riferisce alla vecchia segnatura in uso presso la biblioteca di provenienza del manoscritto (Königliche Privat-Musikaliensammlung, Dresda).
La paginazione inizia dal frontespizio, molto dettagliato e da cui si rileva il titolo completo. In basso al centro del frontespizio il timbro della biblioteca e in basso a sinistra la nuova segnatura in uso (Mus.2455-L-3). Seguono al frontespizio 123 pagine di musica a 10 pentagrammi aperti con numerazione a centro pagina in basso da 2 a 124.
I Lamenti d’Orfeo è catalogata con numero d’opus MenR 144 secondo la catalogazione di Rudolf Mengelberg (fonte RISM). Per l’attribuzione del testo a Pasquini cfr. Giovanni Claudio Pasquini, Opere del signor Gio. Claudio Pasquini senese [...], Arezzo, 1751.
Titolo uniforme
Organico
Repertori bibliografici
Bibliografia
Descrizione analitica
Calliope e Orfeo, Ma non tel dissi, Orfeo
Orfeo, Rimirar l'amato oggetto
Calliope e Orfeo, Figlio, m’ascolta: io t’adulai, fingendo
Calliope, Ah figlio mio, non vedi
Calliope e Orfeo, E pur t’ostini e vuoi
Calliope e Orfeo, Di Danao alle figlie
Orfeo, Persa la speme
Calliope e Orfeo, No, figlio amato, affrena il dolor
Calliope, Più tardo il guardo
Calliope e Orfeo, È vero, è ver: la colpa è mia.
Calliope e Orfeo, Di stelle ornata
Orfeo, Ora le mie sventure
Calliope e Orfeo, Aspetto i dì felici
Trascrizione del testo poetico
Calliope
Ma non tel dissi, Orfeo
Ch’era dura l’impresa;
Che la tentavi invano;
Che presumevi troppo
Dell’armonico legno,
Del dolce canto, e del canoro ingegno?
E dove mai s’intese,
Che il crudo Re della magion del pianto
Si potesse ammollir? Voler, che vinto
Dal suon della tua Lira
Ti rendesse Euridice, divenuta
Eterna preda degl’eterni affanni!
Ma non è questo un vaneggiar?
Orfeo
T’inganni.
Ah cara Madre: io giunsi
Nell’Erebo profondo
A ritrovar pietà.
Calliope
Come?
Orfeo
La Sposa
Meco tornava il giorno
Di nuovo a riveder. Potuto avrei
Vantare, unico, e sol per me cangiato
L’irrevocabil fato;
Ma una barbara legge
Degna d’Averno, che osservar non seppi,
In atto che già fuora
Traeva il piè dalla magion oscura,
(Me fabro) cagionò la mia sventura.
Orfeo
Rimirar l’amato oggetto
Non dovea, se non allora,
Che dal cieco orrido tetto
Tratto fuora avesse il piè.
Io d’amor ebro la legge
Tolto a me, posi in oblio;
Volsi il guardo e l’idol mio
Fra quell’ombre si perdè.
Calliope
Figlio, m’ascolta: io t’adulai, fingendo
Di crederti finor, lungi dal vero
È ciò che narri. Come
Il pallido nocchiero
Ti concesse il tragitto? Come tacque
Il Can delle tre gole,
Né il passo ti contese
Sull’ingresso funesto,
Dov’altri non si avanza,
Col misero destin che lo conduce,
Che privo di speranza
Di più tornare a riveder la luce?
Eh che son questi, Orfeo,
D’un amoroso eccesso
Immaginati sogni. Non si scende
All’implacabil Dite
Se non ombra dolente;
Né si muove a pietà, chi non la sente.
Orfeo
No Genitrice, è vero;
Né sogni ti dipingo,
Né amor fa ch’io vaneggi. A me fu dato
Varcar di Stige la palude. Corsi
Le vie caliginose
Del tenebroso abisso. A piè del soglio
Giunsi, dove risiede
Presso ad Ecate sua tremendo in atto
Dell’ombre il crudo Re. Colà mi posi
Con armonica man le tese corde
A ricercar della sonora Lira
Ed a snodare intanto
Coi carmi usati la mia lingua al canto.
La voce appena sciolsi,
Che vidi (oh maraviglia!)
Nel feroce Signor placarsi l’ira,
Il riso aprirsi, e serenar le ciglia.
Calliope
De’ carmi tuoi possenti
Mi son noti i prodigi. Attrar più volte
Ti vidi colle selve
L’abitatrici belve,
Arrestare i torrenti,
Fermar sospesi i venti,
In sull’ali tener gli augelli e i monti
Sforzar dal giogo a sollevar le fronti;
Ma per muover d’Averno
L’Eumenidi spietate,
Le Gorgoni, le Sfingi e Lui che impera
Alla turba inumana,
Son vani i carmi e la tua cetra è vana.
Calliope
Ah figlio mio, non vedi,
Che l’amoroso eccesso
Ti trae fuor di te stesso,
T’induce a vaneggiar?
Lascia i tuoi sogni e riedi
Saggio a miglior consiglio.
Già la tua sorte, o Figlio,
Più non si può cangiar.
Orfeo
E pur t’ostini e vuoi
Creder, ch’io ti favelli
Reso insano d’amor. Madre: tel giuro,
Sono a me stesso; di ragion sincero
Mi guida il raggio e ti racconto il vero.
Calliope
Figlio: stupir mi fai. Dunque a Cocito
Scender potesti: nè la dura impresa
Freno t’impose, nè il fatal periglio
Timor ti fece?
Orfeo
Amor non ha consiglio.
Altro pensiero io non avevo all’ora
Che il pensier d’Euridice. Non vedea
Cimento che potesse
Arrestare il mio piè. La sola idea
Di tornare a mirar l’oggetto amato
Sì forte mi occupò, ch’io mi trovai
Di maraviglia pieno
(Né posso dirti il come) a Dite in seno.
Calliope
Opra fu della cetra.
Orfeo
Inutil peso
d’ora in avanti al fianco
mi penderà.
Calliope
Che dici?
Orfeo
A che mi valse?
La tripartita bocca
Il trifauce per lei chiuse; e Megera
Le viperine chiome in un istante
Stese sul tergo e placò il fier sembiante.
Di Danao alle figlie
Arrestar fece i vuoti cribri. Il giro
Fermò sull’asse alla volubil ruota
Del perfido Issione. In sulla pietra
Diè a Sisifo il riposo, a Tizio tolse
L’augel divoratore
Dal pasto del suo cor. Sui labbri estinse
Di Tantalo la sete e a Radamanto
Versar gli fece a suo dispetto il pianto.
Ma qual util per me, se violata
Ch’ebbi la Legge, priva
D’ogni virtù restò; s’ella non seppe
Al suo Signore conservar col suono,
Ad onta ancor del donatore, il dono?
Orfeo
Persa la speme
Dell’idol mio,
Si perda insieme,
Vada in oblio
L’inutil cetera
Ch’è mio dolor.
Era il più nobile
Mio bel decoro,
Sinchè potevano
Le corde d’oro
Rendermi l’anima
Di questo cor
Calliope
No, figlio amato, affrena
Il dolor che ti vince. Il genitore
Per intesser di lode inni agli dei,
Per celebrar gl’eroi,
Colla cetra ti diede i carmi suoi.
Orfeo
È ver, ma sai ben, come
Corrisposi al favor. Per opra mia
Le vittime svenate
Son su gli altari ai Numi. Io resi istrutte
Le genti ignare del poter di Giove.
L’orrido esempio sparso
Del fulmine tremendo,
Sceso a punire i gigantei furori,
Fu, che ai divini onori
Le persuase. Insino il cieco Abisso
Mi udì parlare dei Celesti. Al dono
Ingrato non mi resi. Ben poss’io
Vantar d’aver trovati
Nel bisogno maggiore i Numi ingrati.
Calliope
Troppo ti lasci, Orfeo,
Dal cieco sdegno trasportare. A torto
Chiami ingrati gli dei. Dimmi: non era
La tua sorte in tua man? Per lor concessa
La sposa non ti fu? Teco non venne
Sino alla soglia estrema
Dell’ingresso fatal? Perché volgesti
Contro la legge il ciglio?
Perché? Figlio perché? Non fur gli dei,
No l’innocente lira,
Che ti rese infelice:
Fosti tu, che mirasti Euridice.
Calliope
Più tardo il guardo
S’egli era in te,
Men pigro al moto
Se avevi il piè,
Vederti appresso
Potresti adesso
La bella origine
Del tuo penar.
Del dolor vittima
Se ora tu sei,
Non della cetera,
Non degli dei,
Ma di te stesso
T’hai da lagnar.
Orfeo
È vero, è ver: la colpa è mia. Conosco
Purtroppo il vano error. Più la mia cetra,
Più i Numi non condanno;
Io fui sol di me stesso il mio tiranno.
Calliope
Or che il tuo error comprendi,
Del cielo odi la cura,
Della tua lira ascolta
Il sublime destin. Di stelle ornata,
Dagli dei collocata
Sarà un dì sulle Sfere. Impresso in quella
D’Ermelinda Talea
Splender vedrassi il nome,
Allora in terra glorioso tanto,
Quanto ammiriam tra noi
Chi progenie è del Ciel, germe è d’Eroi.
Orfeo
E chi sarà?
Calliope
Distante
Troppo è l’età felice.
Ora tutto spiegarti a me non lice.
Sol ti basti saper, che per tuo vanto
Giove destina a Lei
La Cetra, i Carmi e l’armonia del canto.
Orfeo
E Apollo v’acconsente?
Calliope
Apollo acceso d’ira,
Udito il tuo destin, franse la lira.
Orfeo
Lieto son io. Ma pur, Madre potresti
Dirmi…
Calliope
Giove il contende.
Altro dir non ti posso,
Che del Bavaro Trono
Gemma d’alto valor vedrassi inserta
Nella Corona Augusta
Del Sarmante Signor. Da lui congiunta
Sarà con altra gemma
In tutto a lei simil. Dal cielo i Numi
Sulla Grand’Alma verseran la copia
Dei doni lor più rari. Essa di poi
In sulle traccie andando
E degli aviti suoi
E dei Sassoni allori
Con sua virtù gli renderà maggiori.
Orfeo
Ora le mie sventure,
Madre più non rammento.
Se, passata che sia
Nelle mani di lei, splender sull’etra
È dato alla mia Cetra;
Se per essa il mio canto
Avrà più gloria e vanto;
Se avranno i versi miei
Pregio maggior per lei,
Gli affanni che provai
Col mio destin son compensati assai.
Orfeo
Aspetto i dì felici.
Non m’ingannassi mai!
Sarebbe crudeltà.
Calliope
Ah Figlio mio, che dici?
Il cuor di Madre, il sai,
Mentir non può, né sa.
Orfeo
Adunque il fato mio
Sarà costante ognor?
Calliope
Tu mi trafiggi, oh Dio!
Col dubitarne il cor.
Orfeo
Adesso alla mia stella
Dono le mie vicende,
Se tutta adesso pende
Da un’anima sì bella
La mia felicità.
Calliope
Perdona alla tua stella
Tutte le tue vicende
Adesso, che dipende
Da un’anima sì bella
La tua felicità.
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collocazione Mus.2455-L-3
Scheda a cura di Giuseppe Migliore