Scheda n. 4122

Vaneggia chi crede
Che solo di Gnido
Nel florido lido
D’Amor sia la sede.
Ancor di Bellona
Nel Campo guerriero
D’Amor lusinghiero
Il vanto risuona.

Che san di Marte i sanguinosi humori
Dar Vita a i mirti e fecondar gl’allori.
Vergine fuggitiva,
A cui regia fortuna
Offrì d’oro la Cuna
Tra crude stragi, al balenar d’un guardo,
Trafitta dal mio dardo in questa riva,
Dove rompe il Giordano il rauco argento,
Alimenta col pianto il suo tormento.

Sol per breve momento,
Crude larve d’Amor, datemi pace!
Lasciate ch’io respiri,
O pensieri tiranni,
Poi ch’è troppo rigor ch’un’infelice,
Desta sempre a gli affanni,
In breve sonno ancor sogni martirî!
O pensieri tiranni,
Lasciate ch’io respiri!

Se in pianto i miei lumi
Distillano il Core,
Cangiate tenore,
O rigidi Numi,
O Fato spietato,
E nel seno agitato
Tempri l’ardor vorace
Un’aura di pietà, non di contento.
Deh, lasciatemi in pace,
Crude larve d’Amore, un sol momento!

Sgombra Erminia dal Cor doglia omicida,
Soffri costante e spera
Di fortuna severa
Non paventar gl’oltraggi: Amor t’è guida!

Di lusinghiera spene
Vano conforto al mesto Core io reco,
Se lungi dal mio bene
Mi consola un fanciul, m’è scorta un Cieco.

Se il gran Motor del Cielo
Suddito al mio poter cangiossi in Belva,
Se lungo Anfrise a pascolar gl’Armenti
Deposti i rai lucenti
Trassi il Nume di Delo,
Non ti fia grave, o bella,
Sotto rustiche spoglie
Fra gl’orrori vagar d’inculta selva:
Cesseran le tue doglie,
Cangerà la tua sorte un dì le tempre:
Chi è seguace d’Amor non pena sempre.

Sarà eterno il mio martire
Se per me non v’è pietà.
Crescieran gli sdegni e l’ire,
Né ’l destin si placherà.
Sarà eterno &c.

Avrà fine il tuo martire
Se promette Amor pietà.
Cesseran gli sdegni e l’ire,
E’l destin si placherà.
Avrà fine &c.

Che valse, oh Dio, sotto guerriero incarco,
In grembo a Notte oscura,
A generosa fuga aprirmi il Varco,
Se del Giordan su le deserte arene
Cinto più che d’acciaro ho ’l sen di pene.

Già fuori dell’onde
Con tepido raggio
Il Sole apparì.
Gli Augei tra le fronde
Del mirto e del faggio
Salutano il dì.

La Rosa odorosa
Del manto vermiglio
Le pompe vestì
E l’Alba vezzosa
Il candido Giglio
Di Perle arricchì.

Qual lieto suon di pastorali accenti
Forma un’Eco festiva a’ miei lamenti?
E qual rimiro, o figli,
Di bellicoso acciar raggio guerriero?
E qual ver noi s’invia Garzone altero?
Non vi turbate, Amici: a’ miei perigli
Chieggio soccorso e scampo.
L’armoniose gare omai seguite,
No no, non v’atterrite!
D’infauste spoglie al lampo
Di sdegno... no, ma sol d’Amore avvampo.
O mio Consorte amato,
Che bel Garzone è questo
Che pare un Amorin che fa il soldato?

O vedete che ventura
Mi costringe a riamar!
Se ben ei mi fe’ paura,
Mi farà prevaricar.
O vedete &c.

Già mi sento un pizzicore
Che par doglia et è piacer.
S’io tornassi a far l’amore
Non sarebbe un bel pensier?
Già mi sento &c.

Se nel mendico Tetto
Di questa humil Capanna
Nobil Alma non sdegna haver ricetto,
Goder meco potrai tranquilla pace.
Ma pria mi narra, in sì remota parte,
Da l’agone di Marte,
Chi fu scorta al tuo piè.

D’Amor la face,
De’ miei casi funesti
Havrai piena contezza,
Ma scusa, Amico intanto,
Che l’Alma al duolo avvezza
Annoda il labro al favellar del pianto.

Tanti lacci Cupido sa tendere
Ch’imprigiona l’altrui libertà,
Né si può molle petto difendere
Da gli assalti d’arciera beltà.
Tanti lacci &c.

Tanti strali da un guardo s’avventano
Che piagato rimane ogni Cor;
E pur l’Alme quel duol non paventano
Che le cinge di gelo e d’ardor.
Tanti strali &c.

Se infermità d’Amor l’Alma v’assale,
Non temete, ben mio, fatevi Core,
Poiché di questo male
All’estremo si va, ma non si more.
Ma già che sete stanco
Da sì pesante arnese,
Sgravate il debil fianco,
Ché se la Vita è di sudor bagnata,
Vi sarà una Camiscia di bucata.
E se fia che v’appaghe
Vestir ruvida spoglia in quest’ovile,
Vi saran del mio sposo un par di braghe.
Ben che Regi i Natali, ho l’Alma humile,
Né sdegna Real Donna
Cangiar Clamide d’oro in rozza gonna.

O questa è più bella,
Che vaga Donzella
Per darmi trastullo
Si finga un fanciullo
E poi la discopra
Nel meglio dell’opra
Mia sorte rubella.
O questa è più bella!

O questa è galante:
Sott’elmo pesante
S’asconde il tesoro
D’un crine ch’è d’oro
E poscia a mio danno
Palesa l’inganno
La treccia ondeggiante.
O questa è galante!

O che strani successi:
La moda d’hoggi dì confonde i sessi.
Deposto il grave Usbergo,
Tempra le doglie amare
E nel povero albergo
Con esche saporite,
Da l’affetto condite,
Semplici sì, ma non però men care,
L’inedia del digiun vieni a temprare,
Ché questa greggia e l’orticel dispensa
Cibi non compri a la mia parca Mensa.
Sol di pene si pasca un Cor dolente
Finché de’ pianti suoi l’onda infelice
Spegna d’empio destin la sete ardente.

Godi, o barbaro Fato, io morirò.
Ma vorrei pria di morire
Che mostrasse a me la sorte
La cagion del mio martire,
Ché se Cloto del mio vago
Vestirà la bella Imago
Quando viene a darmi morte,
Fortunata spirerò.
Godi, o barbaro Fato, io morirò.

O quanto in ermo Lido
Scorrono più sereni i giorni e gl’anni
Ove non già Cupido,
Ma innocente Augellin dispiega i Vanni!

In piaggia
Selvaggia
Se d’Ape romita
Ferisce lo stral,
I favi
Soavi
Mercede gradita
Apprestano al mal.

Ma il dardo
D’un guardo
Se giunto nel Core
Vi stilla il Velen,
Il petto
Ricetto
D’eterno dolore
Languendo vien men.

Rimanti in pace, o Genitor pietoso,
Mentr’io del Bosco ombroso
Vo fra gli orrori inculti
Le Belve a impietosir co’ miei singulti.

Verdi Tronchi, annose piante
Fosco Asil d’ombre secrete,
Per pietà qui raccogliete
Del dolore un’ombra errante.

Sì che, lungi dal mio Sole,
Ombra mesta il duol mi rende,
Ma quel Sol ch’arder mi vuole
E’ sparito e pur m’accende.

Tancredi, o del mio Regno
Amato predator, dolce Tiranno,
Non del rapito Impero
Io qui sospiro il danno,
Piango quel colpo fiero
Che m’avventasti da’ begl’occhi al Core,
Non di Marte Campion, ma Eroe d’Amore.
E se tu mi piagasti,
Dimmi almeno perché
La preda del tuo stral crudo lasciasti.
Ahi, ch’è troppo rigore, o luci vaghe,
Ferir col guardo e non mirar le piaghe.

Fuggi omai de’ chiusi boschi
Gl’Antri foschi!
Nido fier di Mostri rei
Al tuo bel non si confà.
Mostro è ver, bella, tu sei,
Ma sol mostro di beltà.

Lascia errar tra folte selve,
Crude Belve!
Pace al duol sperar non dei
Dove regna l’empietà.
Mostro è ver, bella, tu sei,
Ma sol mostro di beltà.

Più d’un antro mendico, un soglio aurato
E’ Nido di sventure a un Cor penante:
Con più fiero sembiante
Fra le reggie superbe alberga il Fato.
Ma il tenor di mie pene
In Pianta funeral s’eterni impresso,
Poiché solo conviene
Ad un vedovo Amore atro Cipresso.
Sì sì, sarete voi,
Voi ch’innalzate al Ciel foglie dolenti,
Piramidi frondose a i miei tormenti.

A scolpire dell’Alma l’affanno
Prendi il dardo ch’il sen ti piagò,
Che del Tronco ch’esprime il tuo danno
Arco eterno a’ miei strali farò.
A scolpire &c.

Con le note ch’incide il tuo duolo
Spiega cifre di candida fé,
Che le piante in quest’horrido suolo
Daran frutti di grata mercé.
Con le note &c.

Lungi non è quel giorno
Che meta di tue pene ha ’l Ciel prescritto
In cui di Palme adorno
L’Arciero del tuo Cor vedrai trafitto
Sovra l’ignude arene,
Pallido e semivivo.
Vedrai quel bel ch’adori
Da le lacere Vene
Sparger di sangue un Rivo.
Ma pria ch’i suoi fulgori
Spegna il sol di bellezza in mar di sangue,
A quel seno che langue
Da i lacrimosi rai
Balsami stillerai
E di sua Vita a i rinascenti Albori
Saran, per tuo bel vanto,
Conchiglie le ferite e Perle il pianto.

Speranza bandita
Ritorna nel Cor.
Al raggio sereno
Del foco del seno
Rinasci alla Vita
Fenice d’Amor.
Speranza &c.

Sul ciglio che geme
Baleni il gioir.
Di pene moleste
L’amare tempeste
Un’aura di speme
Sol può raddolcir.
Sul ciglio &c.

Amanti che bramate
A le doglie del Cor pace e conforto,
Sperate pur, sperate,
Che per giungere al Porto
Di lacrimoso Mar nel fosco orrore
Nave è la Speme e Cinosura Amore.