Scheda n. 12900

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Musica manoscritta

Data

Data incerta, 1640-1660

Titolo

Era già morto il giorno

Presentazione

Partitura

Fa parte di

Redazione

Copia

Descrizione fisica

C. 66v-?

Filigrana

Non rilevata

Titolo uniforme

Organico

Soprano e continuo

Bibliografia

Descrizione analitica

1.1: (recitativo, C)
Era già morto il giorno
2.1: (aria-refrain, re minore, 3)
Ch'io più ti segua amore
3.1: (aria, re minore, C-3)
Io creda che da gl'astri
4.1: (C)
Ma chi conduce almeno
5.1: (aria, re minore, C)
Voi carboni velenosi
6.1: (recitativo, C)
Ma folle che son io
7.1: (aria-refrain, 3)
Ch'io più ti segua amore

Trascrizione del testo poetico

Era già morto il giorno
E per servir di face
Al fannale suo di già condotte
Tutte le stelle in cielo havea la notte
Riposava natura
Se non quando spargea
Nel Teatro dell’ombre il sonno uscito
Su le cure mordaci
Di fatigata vita oblio gradito
Quand’un fedele amante
A cui della sua dea
Servia di tempio il riverito albergo
A quelle mura avante
Con la scorta d’Amor fermò le piante
Ma mentre ei volse il guardo all’uscio amato
Vide, ah vista dolente
Vidde per man di morte
Col sigillo spietato
Di cruda sanità chiuse le porte
All’hor corse repente
Un improviso gelo
Ad ismorzar con suo lascivo core
Il malinteso ardore
A ta [sic] che doppo flebile sospiro
Che dal cor raveduto al labro spinse
Ambo i suoi lumi immobilmente affisse
In quell’orrido impronto e così disse:

Ch’io più ti segua Amore
No, nol consente il core
Che per mia malasorte
Anco la sanità mi dà la morte.

Io credea che da gl’astri
Su le pene del destino
S’inviassero in disastri
Sovra il popolo latino
Ma mentr’io qui più vedo
Di mia dea le luci belle
Star soggetto al fin m’avedo
A gl’influssi maligni anco le stelle.

Ma chi conduce almeno
Crudelmente pietoso
Quel cadavero estinto in questo seno
Perché dalla sua faccia impalidita
Con mille baccio il labro mio doglioso
Tragge la morte ove succhiò la vita
Oh come ben contro di me crudele
Fatta pecchia amorosa
Dall’infetta mia Rosa
Trarrò il veleno ove formai il miele
Oh come bene che
Con amplessi mortali
Abbraccierò quel corpo ancor estinto
Godrò fra quelle chiome
Con nodi indissolubili e fatali
Anco su l’hore estreme
Con la Venere mia giacermi avvinto
Fatto nova fenice
Sovra quel mio bel foco ancor che spento
Io mi morrò contento
Che non teme di morte un infelice.

Voi carboni velenosi
Hor che l’alma a morte spira
Apprestate al fin pietosi
L’alimenti alla mia pira.
Luci belle voi che vaghe
Se ben chiuse anco mi sete
Siate voi sole presaghe
Di mia morte le comete.

Ma folle che son io
Di quanti ohimè di quanti
Amorosi deliri
Architetto s’è fatto il mio dolore.

Ch’io più ti segua Amore
No no no’l consenti il core
Che per mia mala sorte
Anche la sanità mi dà la morte.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-PS - Pistoia - Biblioteca dell'Archivio Capitolare del Duomo
collocazione B 290-1.13

Scheda a cura di Teresa Gialdroni
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