Scheda n. 12319

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Musica manoscritta

Data

Data incerta, 1692-1711

Titolo

Il Ritratto Del P. Abate / Di Sisto Monaco Olivetano / Cantata In Basso

Presentazione

Partitura

Legami a persone

Fa parte di

Redazione

Copia

Descrizione fisica

C. 118-131v

Filigrana

Non rilevata

Titolo uniforme

Sisto non è più monaco. Cantata, Il ritratto del P. Abate di Sisto Monaco Olivetano

Organico

Basso, basso continuo

Repertori bibliografici

Descrizione analitica

1.1: (aria, do maggiore, c)
Sisto non è più monaco
2.1: (recitativo, c)
Hor hora sgabellati
3.1: (aria, do maggiore, c)
Porto il crine canuto
4.1: (recitativo, c)
Dal vomero del tempo
5.1: (aria, do maggiore, c)
Questa bocca bavosa
6.1: (recitativo, c)
Dalla virtù visiva i lumi oppressi
7.1: (aria, do maggiore, c)
E però senza speme
8.1: (recitativo, c)
Un’intenso calor quale mi sforza
9.1: (recitativo, c)
Le faville smorzar non m’è concesso.
10.1: (aria, do maggiore, c)
Caliscione
11.1: (recitativo, c)
D’occhi lacrimation tone e catarri
12.1: (aria, do maggiore, c)
La mia tromba la mostra risuoni
13.1: (recitativo, c)
Da sì fatte schinelle
14.1: (aria, do maggiore, c)
Li mercanti havran compreso
15.1: (recitativo, c)
Di restare fallito
16.1: (aria, do maggiore, c)
Di maggior mercanzia

Trascrizione del testo poetico

Sisto non è più monaco
Eccolo a voi mercante
Non di gemme e drapperie
Ma di certe mercanzie
Ch’hanno un costo esorbitante.
Hor hora sgabellati
Un sacco di difetti
Io porto in mostra questi
Sono malanni
Compri dalla natura affatto stanca
E posti sopra ad un composto antico
Per chi il passo che mena
Gli sembri quel di Sisifo pesante
Eccoli in vista e tuoi adorno a me
Osservatemi pur osservatemi
Pur da capo a piè

Porto il crine canuto
Memoria della cenere fatale
Ch’addita tramontato il dolce autunno
Del verno fra le brine
E così fatto verno.

E del vivere mio penoso inferno.

Dal vomero del tempo
E la fronte e la guancia e chi non vede
Lavorata in più solchi
Da cui serpi pungenti
E non rose odorose
Germogliano dannati
Ond’è che la paura
Con chi mi vide
A danno mio congiura

Questa bocca bavosa
E disdentata affatto
Come non la direte
D’un Lazzaro la fossa
Di ove evaporar fiato si sente
Fiato quatriduano e più spiacente.

Dalla virtù visiva i lumi oppressi
Chiedon ricorso ai vetri luminosi
Che posso dirle le lucerne del faro
Che mostrano vicino il mio naufraggio
Con eclissato raggio
Quella pena insoportabile
Che per me troppo è insoffribile
È il vedermi impraticabile
E nel mal sempre inflessibile

E però senza speme
d’un sol piacer quel Tantalo dannato
Del fonte in riva ancor vivo assetato.

Un’intenso calor quale mi sforza
Se ben sento non sono a far prodigi
Nelle nozze di Canna
Già cangiò l’acqua il mio Signore in vino
Ed io a smorzare il suo vapor cocente
Tramuto il vino in aqua
E del fegato oppresso

Le faville smorzar non m’è concesso.

Li più sottili humori
Precipitati al piè fra le podagre
Mi rendon zoppicante
E son per mio castigo
Sferze di funicelle
Quanto sottili più viè più pesanti
Che nel tenermi avvinto bene
Spesso ad un letto da più dolori assorto
Pria sepolto mi vogliano che morto.

Onde del mal ferito
Spesso così son fra deliri udito

Caliscione
Oh speme che m’entraste nella mente
Di dover risanare il piè penante
Medusa è più di te bella e ridente
Il tuo verde è d’inferno il cibo errante

Hai tu di Nesso la camicia ardente
E i martelli del Tebro zopicante
Il Tonante saria per me clemente
Se mi tenesse più da te distante

D’occhi lacrimation tone e catarri
Son le gemme più fine
Che del mare gelato
Della mia antica età mi porto in faccia
Senza alcun altre cose
Che per modestia mia tacer le voglio

Che se aggiunta vi fosse un po' di rogna
Voi certo mi direste una carogna

La mia tromba la mostra risuoni
La veduta ingannare non può
Alla fredda mia età si condoni
Quel che il tempo al mio labbro leccò
Alla fredda mia età si condoni
Quel che il tempo al mio labbro levò

Da sì fatte schinelle
Oppressa la natura
E i spiriti oppressi
Dier bando all’armonia
Perché a dirla com’è ed a parlar
Con verità giocosa
A dir vecchio vuol dir un’altra cosa.

Li mercanti havran compreso
Senza equivoco qual sia
Ed avranno ben inteso
Qual sia ancor la mercanzia

Di restare fallito
Io non credo già mai
E però quella pena
Che mi fa sopportar peso sì grave
Vuole ancora il mio cruccio e il mio lamento
Queste merci penose
Io vendere non posso
Ne men posso trovar
Chi se le prenda in dono
Ond’è che disperato affatto io sono

Di maggior mercanzia
Giobbe ricco non era
Onde imparo da lui
Che quando un Dio col dito lo toccò
Disse pietà Signor né più cantò.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Bc - Bologna - Museo internazionale e Biblioteca della musica
collocazione DD.51.32

Scheda a cura di Alessandro Sabino Virgilio
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