Scheda n. 7670

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Testo per musica a stampa

Data

Data certa, 1667

Titolo

La strage del Vesuvio. Lettera scritta al Sig. Abbate Peretti poi Cardinal Montalto

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Benigni, Domenico (1596-1653)

Pubblicazione

Copia

Descrizione fisica

Parte terza, pp. 25-43

Filigrana

Non rilevata

Note

Lettera datata 10 dicembre 1631, scritta in occasione dell’eruzione del Vesuvio di quell’anno e pubblicata anche separatamente in: Domenico Benigni, La strage di Vesuvio lettera scritta all’illustrissimo abbate Perretti dal suo secretario, Napoli, Egidio Longo, 1632. Nella raccolta di Poesie, la lettera è seguita da tre sonetti sullo stesso argomento (Tre sonetti del medesimo poposito) alle pp. 42-43

Titolo uniforme

La strage del Vesuvio. Forma non specificata, La strage del Vesuvio. Lettera scritta al Sig. Abbate Peretti poi Cardinal Montalto

Bibliografia

Trascrizione del testo poetico

Co ’l procaccio, che parte oggi di Napoli, che siamo ai 20. di decembre, io ho poco, che scrivere a V. S. Illustrissima de’ negotij, che per le novità, ch’ora corrono, si sono poste le ferie avanti tempo; e ogn’uno scordatosi degl’interessi di questo mondo, attende a placar l’ira di Dio, che ci minaccia. Il Monte Vesuvio, che da Somma, terra, che gli giace ad uno de’ fianchi, riceve oggi il suo nome, è distante dalla città di Napoli poco più oltre lo spatio di sei miglia [...].

Tre sonetti del medesimo poposito
Granido il sen d’accese giamme ignote
S’apre Vesuvio e la sua ronte estolle
Aspavento sì nuovo il piano il colle
Da le radici sue trema e si scote.

Arresta in Oriente al sol le rote
Nembo di fumo, che gorgoglia e bolle.
Tuona sdegnato il monte e ferro molle
Vibra contra le stelle e ’l suol percote.

Fulmi, che da le sfere altrui spaventa,
Tra le nubi del Ciel non ha più loco;
Dagli abissi d’Inferno ira l’avventa.

E tu carco di colpe a scherzo, a gioco
Prendi, mio cor, gl’incendi? Ah ti rammenta,
Che son voci di Dio lingue di foco.

Secondo.

E che pensi mio Cor? Quel, che dal seno
Partorisce terrori orrido monte,
Per vendicar del Ciel gli oltraggi e l’onte
Con diluvio di fiamme arde il Tirreno.

Forse così sciolto a le furie il freno
Disdegnoso Cocito e Acheronte
D’ira giusta sui rei sparge dal fonte
Vampe vendicatrici, atro veleno.

Nube, ch’esce d’Inferno, il Cielo oscura:
Si scote fatto il suol tremola canna:
Fuggon spirti più grandi aurate mura.

O come fasto uman se stesso inganna!
D’un albergo regale è più secura
Contra l’ira del Ciel fragil cappanna [sic].

Terzo.

Or, che dal grembo suo con nube oscura
Orgoglioso Vesuvio altrui minaccia
E tra lampi di fuoco al suol la faccia
Copre d’atro terror cenere impura;

Ne’ portenti novelli alma secura
De le fiamme gli abissi apre e rintraccia
E svela poi, quanto segreta abbraccia
Ne le viscere sue cauta natura.

Ma che folle vaneggi? A le tue voglie
Deh sia tra tanto orror meta più chiara
Quella che sul tuo crin cener s’accoglie.

Come cieca Fortuna e morte avara
In fredda polve il tuo mortal discioglie,
Ne le scole del Ciel più saggio impara.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Rv - Roma - Biblioteca Vallicelliana
fondo Borromini
collocazione S. Borr. Q.IV.223.91

Scheda a cura di Nadia Amendola
Ultima modifica: