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Titolo uniforme
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Trascrizione del testo poetico
Inferno io veggo aperte
Le fauci tue per inghiottirmi eterne
E fida man che per le vie più certe
Mi riduca a salvezza, ahi non si scerne;
Inferno io veggo aperte
Le fauci tue per inghiottirmi eterne.
Peccai, lasso, peccai
Più che non fer giamai
O le menti terrene, o le superne.
Et ovunque m’aggiro,
Venir meco rimiro
All’esterminio mio vindici pronte,
La pena a tergo e la mia colpa a fronte.
Et son con pari scempio,
O ch’io scorra pe ’l mondo ogn’ora errante
O ch’a penar precipiti giù dentro,
Inferni miei, la superficie e ’l centro.
O piagato innocente,
Moribondo celeste,
La tua bontà sì deste
A mirarmi prostrato,
A sentirmi piangente
E se pur dal tormento
Sei già spento e gelato,
Deh senta il pianger mio
Quella divinità, ch’a te s’unìo;
Poiché s’avvien che morto altri ti scerna,
Morir non può la tua pietate eterna.
Quindi se dianzi in sì gradito suono
Dimandasti per gl’empi al Ciel perdono,
Il più fero, che goda il primo effetto
De le preghiere tue, sia questo petto
E resti ogni mortale in me chiarito,
Che trofeo del tuo sangue è un cor pentito.
Or senti, o cor superbo
Non diffidar di quel pietoso estinto,
Ma coi desiri al sacro legno avvinto,
Dimandali mercede
Di tante ingiurie e tante;
Che non può disamar, chi more amante.
Digli che tu sei l’empio
Di sì publico scempio
Dì che frà tutti i rei
L’esecrando tu sei
Pregalo che qualora
Serpeggiante tra nembi il lampo ruota,
Ad ogni altro perdoni e te percuota;
Che di gioia il vedrai, mentre t’accusi,
Lagrimar con quegl’occhi, ancorché chiusi
E per darti di pace
Soavi amplessi al collo e baci in faccia
Dal tronco ev’ei si sta, schiodar le braccia;
Poich’a ritor da morte alme sepolte
Tornerebbe a morir mill’altre volte.
Stillati dunque in tepidi torrenti
O dell’alma indurata annoso gelo
E con tazze spumanti
D’ambrosie sì soavi,
Volane ratto a raddolcir fedele,
Chi per darti dolcezze ha preso il fiele;
E se pur non abonda
Di sì dogliosi umori
Qual Sirte sitibonda
L’inaridito seno,
Dolor di non dolerti, offrigli almeno;
Che chi per noi di puro amor languisce,
Il desio del desire ancor gradisce.
Parla il peccatore.
Altro non ho, che povertà di pianto,
Deh ricevi, Signor, la mia mancanza,
Poiché appresso di te, che n’ami tanto,
La mia penuria ogni dovitia avanza.
O forza d’incanti
Ch’accieca gl’amanti,
Che in rimirar l’oggetto a lor gradito,
Si figurano il nulla un infinito.
Paese
Lingua
Segnatura
collocazione 204.3.B.12.61
Scheda a cura di Nadia Amendola