Scheda n. 7672

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Testo per musica a stampa

Data

Data certa, 1667

Titolo

La fuga di Medea

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Benigni, Domenico (1596-1653)

Pubblicazione

Copia

Descrizione fisica

Parte terza, pp. 52-61

Filigrana

Non rilevata

Titolo uniforme

Che fuggitiva errante. Forma non specificata, La fuga di Medea

Bibliografia

Trascrizione del testo poetico

Medea:
Che fuggitiva errante
Su le rive di Colco
Io rivolta le piante?
Ch’io raminga me ’n vada
Rifiutata, schernita?
Ah non sia vero. A la mia fè tradita
Fra le ceneri ascosa
Vittima sanguinosa
Il marito, la reggia, il regno cada.
Mal gradita, sprezzata
Mirar dunque potrò,
Misera a’ danni miei
Su le piume, ch’io lascio, altri Imenei?
Timida soffrirò
Che nove nozze ordisca
Perfido il mio Giasone e mi tradisca?
No ’l soffrirò, no. no:
Torbide fiamme ultrici
Voi di Medea lo sdegno
Secondate felici.
Voi, voi voraci a mio soccorso invoco
Ma che ragiono? Al mio furore è poco.
Del genitor crudele
Con lacerate vene
Voi, voi già figli miei
Voi già pagaste al mio dolor le pene,
Di mia fè, di mio amor vittime e rei:
Opra di questa mano
Ne l’incendio vorace
Lacerate le membra a brano, a brano
Son de la fiamma ardente
Esca troppo innocente:
Tra le pene e gli affanni
Altro chiede il mio amore
Già fatto adulto a le ruine, ai danni.
Con questa mano il core
A l’ingrato Giason trarrò dal seno
E su ’l nudo terreno
(Di pianto asciutti i lumi)
Correr farò d’argivo sangue i fiumi.
Farò, farò, che ceda
La fiamma ardente a nove stragi il loco.
Ma che ragiono? Al mio furore è poco.
Il mio dolor non chiede,
Che del regno del pianto e de la morte
Da le funeree porte
A riveder le stelle
L’Acheronte e sorelle
Movano angui crinite a volo il piede,
Il mio dolor non chiede,
Che da perduti chiostri
Escano a l’aria i mostri.
De l’amor mio negletto,
Del mio tradito letto
Uscite a vendicar l’ingiuste offese
Voi de l’arso mio petto
Empie furie spietate ire e furori:
Voi de l’orride fiamme ai vivi ardori
Vigor novo accrescete:
Incenerite, ardete
Il disleale, il crudo,
Con spergiuro ingannato ha la mia fede.
Caggia la regia sede
E sovra il terren nudo
L’infame sposa e ’l Drudo
Siano scherzo de’ venti in preda al foco:
Ma che ragiono? al mio furore è poco.
Numi, ch’a le mie nozze
Da Giasone giurati
I voti, i preghi e le promesse udiste;
Sentite or mie querele.
Deh mirate il crudele,
Come serba la fede
(Anima greca alfine) a chi la diede.
Ma voi lenti a mio pro non fulminate?
Diva, che da le sfere
Grave d’arco dorato e di faretra
Sei terror de le fere,
Vindice al mio dolor soccorso impetra.
Tu, che al suon di mia voce
Non sdegnasti talora ubbidiente
Mover’il piè veloce;
Deh cortese a mio pro gira la mente:
Mio grave torto indegno
Te sol pietosa intanto inganno aspetta.
A te cedo lo sdegno;
Prendi tu per pietà la mia vendetta.

Diana:
Io, che mai sempre il volo
Volsi pronta a tue note,
Da le celesti rote
Rapida scendo e porto pace al duolo.
L’Acheo consorte ingannatore infido
Contra di te s’adiri;
Sul desolato lido
Tosto fia che sospiri.
Segui, segui tuo sdegno
Contra l’empio spergiuro:
Io vendicar’io giuro
L’amor, la fè contaminata e ’l regno.
Mira a carro sovrano
A tuo soccorso intenti
Squamosi draghi ardenti
Dono di questa mano:
Sferza quelli a tuo scampo
Lungi da’ lidi Achei
Ed offra a tuoi trofei
Stellato Cielo ambitioso il campo.

Medea:
Tessali carmi
A trar possenti
L’ombre dai marmi;
Non scolorino più tuoi rai lucenti,
Al tuo piede ossequiose
Luminose
Con bel raggio umili ancelle
Ardan sempre in ciel le stelle.
Torbido manto
Ombroso velo
Al tuo bel vanto
Temerario già mai non turbi il Cielo.
Rida l’aria e ne’ suoi campi
A tuoi lampi
Ognor più veloci e preste
Nove danze il mondo appreste.

Giasone:
Infelice Giasone,
Tra ruine e perigli
Molle di pianto il volto
Dove mi porta invendicato il duolo?
Arsa, abbattuta al suolo
Priva d’ogni sostegno
Cade la reggia, il regno.
Giacciono i figli estinti.
E pur nel duol, ch’io sento,
Contra l’empia Medea
Misero a vendicarmi ancor son lento?
Su, su giuste vendette
Rendete omai, rendete
A l’intrepida mano il ferro irato:
Su! nel petto svenato
D’una furia omicida
Mio fiero sdegno e forte
Avido beva il sangue e la sua morte.
Ma dove son? Che miro?
Perfida e dove ai vanni
Per le strade del Cielo il volo sciogli?
De’ velenosi mostri
A l’atra coppia orrenda
Tua man lorda di sangue il fren sospenda.
A le querele, al pianto
Del mio cor, che si duole,
Gira vittoriosa il ciglio alter:
Chi trionfar desia fuggir non suole.
Non è crudele, il tuo trionfo intero.
Ecco ti cedo, hai vinto.
De l’opre tue famose
Renda più chiaro il suon Giasone estinto.
Dispietata inumana
Torna, deh torna e di tua man si sbrana.

Medea:
O me sempre felice!
Piena è già la mia vendetta,
Su l’altar de lo sdegno
Vittima al mio furore altra non resta.
Oggi pur tionfante
Vincitrice mia destra
Riede lieta a trattar scettro regale.
Ecco già torna il pretioso vello,
Torna il padre, il fratello.
O come chiara, o come
Su le regie mie chiome
Con splendore più degno
Per me già torna e la corona e ’l regno.

Giasone:
Di che, di che ti gonfi
Mostruosa megera?
Sono questi i trionfi,
Che su le patrie arene
Porti di tue vendette e di mie pene?
Dispietata inumana
Torna, deh torna e di tua man si sbrana.

Medea:
Ne’ le pende inesperta e ne’ tormenti
Roza è troppo la destra,
Ch’altrui solo punir sa con la morte.

Giasone:
De’ tiranni maestra,
Qual di morte maggiore
Può mai soffrir rigida pena un core?

Medea:
A chi morte è gradita,
Cruda più del morir pena è la vita.
Siano varie le pene:
Viva misero esempio
Di sue fiere sventure alma infelice;
Ma con novello scempio
A chi l’ore serene
Viver diede qua giù più lieta sorte,
Tronchi i giorni la morte.

Giasone:
Ma se nemica or neghi
Morte in premio a’ miei prieghi;
Perché, perché spietata
Di crudo ferro armata
Ne le viscere, o Dio,
L’aspre punte omicide
Ascondesti crudel del sangue mio?
Così tenera prole
Di che delitto, ohimè, di che fu rea?

Medea:
Fu sua colpa Giasone il genitore.
Ma delitto maggiore
Genitrice Medea.

Giasone:
Come, deh come osasti
Que’ duo volti gentili empir di morte,
Che sovente chiamasti
Tue delitie, tuo bene e tuo tesoro?

Medea:
Maestosi sembianti!
Ma segnò troppo in loro
Forso il destin presago
D’un genitor crudel viva l’imago.

Giasone:
Tra duo teneri figli
D’un solo petto esangue
Era purtroppo a le tue brame il sangue.

Medea:
Se dissetar potuto
Avesse una sol morte i desiri miei;
Nulla chieduto avrei.
Di morte aspersi e tinti
Entro sanguigno umore
Due ne giacciono estinti
Et è purtroppo angusto
Campo, dove trionfi il mio furore.

Giasone:
Ma di tue furie ardenti
Fur bersagli innocenti.

Medea:
È ver; ma di mia mano
Fu pria segno innocente il mio germano.
Or va superbo i letti
De le vergini usurpa e l’aurea zona
Sciogli con man fallace
E lor fatte poi madri empio abbandona.
Qua su timido ciglio
Alza ingrato Giasone
Et in sì varia sorte
Con più saggio consiglio
Fe’ mentito conosci or tua consorte.
Per l’aperto del cielo
Provida così scioglio
De’ velenosi draghi a l’aria i vanni:
Così fuggite io soglio
D’un ingrato marito i fieri inganni.

Giasone:
Vattene pur crudele
E dove passi per l’eteree vie,
Ne le sventure mie
Rendi pur fede altrui
Mostro di ferità,
Che numi il Ciel non ha.

Diana:
Segui lieta Medea
Per le spiaggie del Ciel l’arduo viaggio:
Che di tua grave offesa
Io già ritorno a le vendette intesa
E tu spergiuro infido
De le tue proprie colpe
Perché Medea, perché le stelle incolpe?
Vergine innamorata
Entro le regie soglie
Te pria nel core, indi nel letto accoglie.
E qual tuo cor fu allora
Che de’ più vivi ardori
In perigliosa guerra
Arsero a tua ruina orridi tori?
Allor ch’armate schiere
Gravida germogliò fiera la terra?
Allor ch’orrendo, atroce
D’ira flegetontea
Fischiò contra di te drago feroce?
E pure ingrato e pure,
Opra sol di Medea,
Giacquer le fiamme estinte
Et imparar le contumaci e dure
Aspre cervici a strano giogo avvinte
Di tua mano a soffrir leggi severe:
Cesse la terra al novo aratro il seno
E le squadre guerriere,
Già nemiche fra loro e ribellanti,
Ebber vita in un giorno e venner meno
E ne’ lumi vegghianti,
Che mai dormir non ponno,
Stese con man gelata
Ignoto velo a tuo soccorso il sonno.
Infida anima ingrata
E qual darti potea più nobil pegno
Di suo amor, di sua fe’,
Ch’abbandonar per te
(Perfido) il genitor, la patria, il regno?
S’apra pur de la terra il sen profondo
E dal più cupo fondo
Esca pronto a mia voce
De’ mostri il più feroce
E velenoso il seno armi a’ tuoi danni.
E sì fiero portento
Tremi il suol di spavento
E tenebroso velo
Inaspettata ecclisse apporti in cielo.

Giasone:
Ferma Furia d’Averno,
Fiero drago mortale.
Era poco al mio male,
Se non s’armava iniquo anche l’Inferno?
Da l’ire sue tremende,
Lasso, chi mi difende?
O mortali imparate:
Così punisce il Ciel l’anime ingrate.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Rv - Roma - Biblioteca Vallicelliana
fondo Borromini
collocazione S. Borr. Q.IV.223.93

Scheda a cura di Nadia Amendola
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