Scheda n. 7610

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Testo per musica a stampa

Data

Data certa, 1667

Titolo

Al Signor Cavalier Gio. Lorenzo Bernini

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Benigni, Domenico (1596-1653)

Pubblicazione

Copia

Descrizione fisica

Parte prima, pp. 140-145

Filigrana

Non rilevata

Titolo uniforme

Che fai Bernino? ed a qual marmo in sorte. Forma non specificata, Al Signor Cavalier Gio. Lorenzo Bernini

Bibliografia

Trascrizione del testo poetico

Che fai Bernino? ed a qual marmo in sorte
Tua nobil destra ardita
Oggi adonta di morte
Prepara industriosa aure di vita?
A qual eroe più forte
Ed a qual nume il tuo scarpello è dono?
Del Vaticano il trono
Per te già splende e del tuo nome ai lampi
Roma sasso non ha, che non avvampi.

Favolose menzogne io qui non chieggio
Di Ciclopee spelonche:
Taccia Sicania il seggio
De le fiamme che d’oro empion le conche.
Ch’a tuoi metalli io veggio
Le fucine del Lazio arder più liete
E de l’onde di Lete
Trionfato su ’l Tebro il furor empio,
D’auree colonne ergi a te stesso un tempio.

Già su le rive, onde fastoso al mare
Con umidi vestigi
Porta l’acque più chiare
Ne’ suoi regij tributi il gran Tamigi;
Di tue palme più rare
Sotto barbaro Cielo il sol fiammeggia:
E la superba reggia,
Cui riverente il pie’ l’onda marina
Bacia d’intorno, il tuo scarpello inchina.

A virtù, che dispiega ardente i vanni
Oltre i segni d’Alcide
Fuor de le vie degli anni,
Stupor non è, s’eterna gloria arride.
Del tempo edace i danni
Vincitor bell’oprar sempre calpesta.
Pur di carmi contesta
Oggi in Pindo a tuo pro contra l’oblio
Vuo’, che mole ingegnosa alzi mia Clio.

Ma se la sù di più bei lampi adorno
Vuoi, ch’a tesser mi pigli
Al tuo gran nome intorno
Fregio, che de l’età sprezzi gli artigli;
Dal tuo ricco soggiorno
Spoglia di marmi in un Paro e Numidia:
E con arte di Fidia
De l’idolo de’ cori illustre e sacro
Tua man formi verace un simulacro.

Mira LEONORA e dì se può natura
A l’industre scarpello
Di sembianza più pura
Riverito svelar volto novello.
Beltà, che non s’oscura
Coronata di raggi offre il suo volto,
Ce’ suoi begli occhi accolto
Vedrà tuo sguardo a que’ bei giri affisso
Arder di luce un infinito abisso.

Di quelle labra, onde canori accenti
Sprigionati dal core
Volano sciolti ai venti,
Trono non ha più glorioso amore.
Perle, coralli ardenti,
Che tributario in don mandi l’Egeo,
Troppo è basso trofeo
Di quella bocca ove han le gratie il Regno,
Posto ho più su de’ le sue lodi il segno.

Ma soffrite, o begli occhi, o puri labri,
Ch’in paragon solleve
De’ raggi e de’ cinabri
Quella, ch’orna la man candida neve.
I più superbi fabri
D’effigiar temon sì bianchi avori:
A que’ chiari candori,
Che de la mano offron le nevi intatte,
Sovra i campi del ciel s’oscura il latte.

Ma se talor soave cetra d’oro
Ferir quella non sdegna,
Chi fra lo stuol canoro
D’Elicona simile altra m’insegna?
Dal bel virgineo coro
Scendono a l’armonia cigni e sirene:
De le latine arene,
A cui pregio sì bello ha il Ciel concesso,
Colmi d’invidia van Pindo e Permesso.

E non fia poi, ch’a faticare i marmi
Prenda tua destra ancella,
Di lei, cui sacro i carmi?
Non si nieghi a virtù palma sì bella.
Così vedrà su l’armi
De l’età trionfar le tue corone:
Per men lieve cagione
Per lo ciel de la fama eterno e vivo
In faccia al sol vola pennello argivo.

Non langue il suon, che gentil destra achea,
Quando a stancar le tele
Prese per Citerea
E tentò simulacro alzar fedele;
Scorto, che mal potea
Da un sol volto rapir tanta bellezza,
Qual più vaga s’apprezza
Invidioso a contemplar si volse
E con furto leggiadro il fior ne colse.

Sassel Grecia, ch’allor non s’udì cetra,
Ch’il gran pennel di Coo
Non portasse su l’Etra,
Oltre le vie, che segna Eto e Piroo.
Sassel Gracia, ch’impetra,
Che le sfere abbandoni alma Citera
E ne’ suoi fasti altera
Del suo sembiante luminoso e vago
Scenda a mirar la riverita imago.

Ma che? LORENZO a bella gloria il varco
Avaro il Ciel non chiuse;
Ben per te più d’un arco
Vedrai tosto curvar Pierie Muse.
Di palme e d’onor carco
A la grand’opra inteso ergi la mano,
Nel sembiante sovrano,
Di cui ragiono, Amor nasconde e serra
Quante apre stelle il ciel, fiori la terra.

L’avido angel, c’ha sanguinoso il rostro,
Nel gran fabro, ch’audace
Da lo stellato chiostro
Temerario rapì lucida face,
Forse ch’a danno nostro
Sparge di tema i tuoi pensier nel petto?
A te non è disdetto
Senza muovere al Ciel rapidi i passi,
Di tua mano spirar la vita ai sassi.

Ma se pur chiedi a l’immortal fatica
Da l’apollinea luce
Chiara favilla amica,
Qualor cinta di fiamme il dì conduce;
Sorte avara nemica
Lucidi lampi al tuo desir non toglie:
Ecco pronto a tue voglie,
Perché raggio più vivo il marmo tocchi,
Per te scopre Leonora il sol negli occhi.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Rv - Roma - Biblioteca Vallicelliana
fondo Borromini
collocazione S. Borr. Q.IV.223.27

Scheda a cura di Nadia Amendola
Ultima modifica: