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Trascrizione del testo poetico
Vago di palme da le sponde argive
Di temuti guerrieri ampio drappello
Sopra tessalo pin de l’aureo vello
Passò di Colco a impoverir le rive.
Entro boschi frondosi aspra bipenne
Turbò gli alberghi a solitarie belve
E Teti prime rimirò le selve
Sovra i campi del mar spiegar le penne.
Nettuno allor dal tenebroso albergo
De l’armi ai lampi per stupor si scosse
E di braccia robuste a le percosse
Primier suppose impallidito il tergo.
Da spelonche deserte agli altrui danni
De l’eolia falange il duce immondo
A portar guerra, a debellare il mondo;
Cieco ai figli d’Astreo disciolse i vanni.
A spaventar del sol l’eteree ruote.
Fremon disciolte e d’Aquilone e d’Austro
Et allor minacciante il fiero plaustro
Entro nube mortal volse Boote.
Argo non paventò l’atre procelle;
Per non calcata via rapida corse
E da tempeste gloriosa scorse
Aprirsi al suo camin porto di stelle.
Ma per sentier via più fallace e torto
Nel procelloso Egeo di nostra vita,
Peregrina sen’ corre alma smarrita,
Che lontana dal Ciel sospira il porto.
Qui di rigido scoglio alpestre pietra
Nel suo rigore aspro destin minaccia
E più d’un mostro con turbata faccia
Altrui nemico il nobil corso arretra.
Non su le soglie immonde, ove sfavilla
Grave d’orride fiamme il re d’Averno,
Ma qui vedresti ognor fra duolo eterno
Cruda l’Idra fischiare e latrar Scilla.
Fortunato, cui diè su l’alto coro
D’intelletto increato ordin fatale
Dopo lunghe tempeste affrenar l’ale
Entro i campi di luce in soglio d’oro.
Alma, che giunge a sì beata parte,
Scorge, secura di contraria guerra,
Che da l’arco fatale empia disserra
Le saette Bellona e tuona Marte.
Scoglier dunque, che pro FRANCESCO il pianto
Se di tua genitrice a Dio ritorna
D’aurea luce immortal l’anima adorna
E pura siede al suo principio accanto?
Giunta là su del suo Fattore il grembo
Ah che non dee da tormentato seno
A sua pace turbare il bel sereno
Di cocenti sospir torbido Nembo.
E se già lieta di sua gloria ardente
I suoi desir nel sommo sole appaga;
Che val punto nel duol da molle piaga,
Saettar dal tuo cor voce dolente?
Dal suo laccio mortal sol la disciolse
La man, che fabricò le stelle e ’l cielo:
E sprigionata dal corporeo velo
Ne l’eterea maggion l’anima accolse.
E nel seren degli stellati campi,
Le virtuti, onde chiara e fiammeggiante
Fra le nuore latine apparse innante,
Fatte sono al suo crin lucidi lampi.
Taccia penna mendace il primo grido
Di lei, che vanta di pudica il nome;
Che del suo sangue il sen sparso e le chiome
Strinse ferro mortal con braccio infido.
Tra le pianghe dal sen già fuggitiva
Il suo volo spiegò l’anima essangue:
Ma che pro, se non puote onda di sangue
Lavar d’alma infedel machia lasciva?
Ma sudin pur penne faconde in gara
Per alzar di Vittoria il nome a volo;
A suoi splendori, oltre le vie del Polo
Non caduchi trionfi il Ciel prepara.
Ch’al suo fedel di sacro laccio avvinta
L’armi non paventò d’angue rabbioso
E con piede premé vittorioso
Turba di sensi catenata e vinta.
Né mai così su le dorate soglie;
Vegghiò d’Esperia velenosa fera;
Com’ella in guardia di sua fè sincera
Destò saggia nel cor pudiche voglie.
A tinger pronta con sanguigno umore
Del bel candido sen le nevi pure,
Pria, ch’infida segnar con note oscure
Di sua fè maritale il bel candore.
E tu via pur dolente il fren disciolto
A le lagrime amare e ai sospiri,
Con fosche nubi ne’ superni giri
Di sue gioie serene oscuri il volto?
Tempra l’aspro martire e alza il ciglio
E là dove risplende il Ciel più adorno
Fra gli avi assisa or mira lei d’intorno
A que’ duo, che vestiro ostro vermiglio.
Quel, che cinto di rai splende primiero
E PIETRO il grande, che messaggio armato
Sovra le sponde già d’Istro gelato
Tolse a fronte superba antico impero.
E si la Parma poi da ferro ostile
Duro assedio sofferto in strania sorte;
Vincitore mirò tinto di morte
Suo nemico fuggir laccio servile.
Ma di quel, che non lunge al par lampeggia,
Tu Palla il nobil nome altrui palesa;
Ch’a te con voglia d’alta gloria accesa,
Erse nel Trasimeno illustre Reggia.
E sua mercé per le felici arene,
Ove posto han lor seggio i chiari ingegni,
Sorse superba a gloriosi segni
Con antico stupor novella Atene.
Ma quei, che il sen d’acciar lucente onusto
Ne le pugne mischiar sangue e sudori,
Già scintillante di celesti ardori
Mirano lei nel sacro trono augusto;
O come veggon lieti inaridito
Di lor stirpe regal tronco sì degno;
Or che traslato a più felice regno
E ne’ campi del sol ricco e fiorito.
Ma così l’aspro duol, che il sen flagella,
Benda di tua ragion gli occhi lucenti,
Che le glorie non miri e ’l suon non senti,
De lei, che teco di là su favella.
A che bagnar di caldo il pianto il petto,
O de le membra mie parto sì caro,
Or che sciolta fuggendo il mondo amaro
Ho ne’ seggi del Ciel l’albergo eletto?
Se fral vestita per sentier di sassi,
Ch’ove splende virtute, altrui conduce
Fui con stimol d’onor sostegno e duce
Del tuo tenero piede ai primi passi;
Or che l’alta pietate abitatrice
Me de l’Etra guidò sugli aurei chiostri;
Per te qual fia, c’oggi dischiuda, o mostri
Luminoso camino a pie’ felice?
Ma tu fatto d’Astrea nobil seguace
Del tuo saggio Chirone ascolta i detti
E vegghiando così ne’ patrij tetti
Cogli da’ tuoi sudor semi di pace.
Che se di dolce brama il core accendi
Su quelle spiaggie, ove le Muse han scettro,
Ridir cantando al suon d’Aonio plettro
De le fiamme Latine i vivi incendi;
Allor, che dispietato empio tiranno,
D’atro sangue materno asperso e tinto,
Da le sue furie a nove pene accinto,
Portò crudo su ’l Tebro estremo affanno;
Di tuo nido paterno entro le mura,
Di gloriosi cigni al mormorio,
Al tuo chiaro di gloria alto desio
Sparge novo Ippocrene ONDA più pura.
Questo fian del tuo cor belle vicende
Tesser contra l’oblio famose frodi.
Da semi di valor sorgon le lodi
Gloria non di virtù figlia, non splende.
Paese
Lingua
Segnatura
fondo Borromini
collocazione S. Borr. Q.IV.223.18
Scheda a cura di Nadia Amendola