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Titolo uniforme
Trascrizione del testo poetico
Già di Troia le mura
Esca del foco Argivo
Converse in polve una guerriera arsura,
E de la Rocca altera,
De l’adulto Troian primiero vanto,
Bevute avea l’arse reliquie il Xanto;
E mentre al patrio suolo il piè volgea
Vittorioso il Greco,
A pro de’suoi trofei
De gli oricalchi Achéi
S’udiua rimbombar festosa un’eco;
Ma Penelope afflitta
De l’Itaco Signor sposa dolente,
Che sol di Ulisse udia la fama invitta,
E l’aspetto gradito
Mai non vedea del vincitor marito;
Impaziente al fine
Di più lunghe dimore,
Stimolato il suo core
Dal fiero spron d’un importuno affetto,
Prima scatenò dal petto,
E poscia fe’ per l’aere in suon feroce
Vagabonda così scorrer la voce.
Ulisse e dov’è?
L’Argive vittorie
Son meste memorie
Tropp’aspre per me.
Ulisse e dov’è?
Al suon d’ogni tromba
Per tutto rimbomba
Con voce festiva
Viva Ulisse, viva, viva;
Mà ne’ publici contenti
Sol’io peno infra i tormenti,
Sol languisce la mia fè.
Ulisse e dov’è?
Mentre lieto, e festante
Ogniuno a pro d’Ulisse i vasi impugna
Colmi d’ambra spumante,
Miro con bel laoro
In quei calici d’oro
Del mio signor l’alte vittorie incise;
Tra mille fiamme e mille
Mirasi Enea col genitore Anchise
Fuggir de le faville,
E scolpito si vede in ogni loco
Benché dipinto, errar baccante il foco;
Che riflettendo quegli ardori impressi
Entro le tazze aurate
Par che fumino ancora i vini stessi.
Ma a quei trofei
Che gli occhi miei
Miran scolpiti,
Inumiditi
Versano intanto
Un mar di pianto;
Onde sono cagion, che ognior sospiro;
Veggio i trionfi, e’l Vincitor non miro.
Più che al Teucro incenerito
Già non fe’ l’Acheo Guerriero,
A miei danni incrudelito
Mi fa guerra il cieco arciero;
De la Troiana arsura io me ne rido;
Da più fiamme al cor mio l’empio Cupido.
Ma dove o caro Sposo,
Dove lungi da me volgi le piante
Peregrino vagante?
Priva d’ogni riposo,
Mesta, languida e sola
Senza l’ardor de le tue luci amate
Traggo in vedove piume ore gelate.
Se tu sapessi, oh Dio,
Quanti sono gli amanti,
Che molesti e arroganti,
Tendon lascive insidie al’onor mio,
Supplice pregheressi il vento amico,
Ch’a le tue pigre antenne
Imprestasse le penne;
Onde ratto e volante
A me rivolgessi il legno errante;
Ma tu posto in non cale
L’onor tuo, la mia fede,
Là dove più ti aggrada
Volgi perfido il piede,
Ed io mesta piangendo
Sovra l’Itaco lido
Chiamo chi non mi ascolta e al vento grido.
Tormenti ove siete,
La guerra v’intimo;
Se non mi uccidete
Codardi vi stimo.
Vi sfido a battaglia;
L’afflitto mio core
Si espugni, si assaglia
Infin che si more;
Ma voi tormenti fieri
Contumaci guerrieri
Non comparite ancora?
Ma senz’altra dimora
Ecco, che a me sen viene
Un numeroso esercito di pene;
Con altera baldanza
Gia s’inoltra e s’avanza,
Già, già vinta son’io;
Ecco dunque, ch’io moro, Ulisse, a dio.
Qui terminò i lamenti
La bella impaziente;
Onde mesta e piangente
Nel proferir quel doloroso addio
Cadde al suol, svenne, ma non morìo.
Sollecitate da importuni Amanti,
L’esser fide e costanti
A lontano Consorte
Le Penelopi solo ebbero in sorte.
Paese
Lingua
Segnatura
collocazione ARCA VII 24.6
Scheda a cura di Nadia Amendola