Scheda n. 2460

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Musica manoscritta

Data

Data incerta, 1650-1680

Titolo

Stanco da suoi gran corsi uscito fuora

Presentazione

Non applicabile

Fa parte di

[Cantate] (n. 2459/1)

Redazione

[S.l. : copia, 1650-1680]

Descrizione fisica

12 c. ; 100x270 mm

Filigrana

Non rilevata

Note

Tit. dall’incipit della cantata; num. delle carte coeva (13-24) e moderna a matita (1-12); c. 12 vuota; a c. 1v ci sono varie parole illeggibili a causa della corrosione della carta per l’inchiostro del capolettera

Titolo uniforme

Organico

Soprano e continuo

Descrizione analitica

1.1: (recitativo-arioso, c)
S, Stanco da’ suoi gran corsi uscito fuora
%C-1@c 4-2''D4D8-DDxC4DD/'8-AAB4''xCC/
2.1: (recitativo, c)
S, Quando il gran Tebro ancor sul letto erboso
3.1: (recitativo-arioso, c)
S, Che giova me che giova
4.1: (recitativo-arioso, c)
S, Ma lasso hor che merce del solo amore
5.1: (aria, re minore, 3/2)
S, Frena il pianto o Re de' fiumi
6.1: (arioso, 3/2)
S, Al girar de’ suoi splendori
7.1: (arioso, c)
S, Nel tuo sen lieto e giocondo
8.1: (recitativo-arioso, c)
S, Così diss’ella e intanto
9.1: (arioso, 3/2)
S, Uscì il sol dall’oriente
10.1: (recitativo, c)
S, Il Tebro allor così
11.1: (aria cavata, 3/2)
S, Disse tre volte o me felice e tacque

Trascrizione del testo poetico

Stanco da’ suoi gran corsi uscito fuora
Non era il sol nelle maggion più belle,
Né con sforza di rose e gigli ancora
Venia l’aurora a flagellar le stelle
[…]
Plaustro per seminar
De’ sogni il popol scuro
I gran campi del […]
[…] lo arava Arturo.

Quando il gran Tebro ancor sul letto erboso
Posando invan l’afflitto fianco algente,
Nella quiete del mondo ei sol dolente
Stancava il suol senza trovar riposo,
Ma con lingua d’argento
Stillando all’hor di pianto ampi torrenti,
L’ombre destava al suon di questi accenti:

Che giova me, che giova?
Ch’io fra gl’algosi numi
Di retaggio real vissi superbo,
Ch’io re de’ tutti i fiumi
Più che d’alghe ed arene
Coronate di palme hebbi le rive.
E del servaggio altrui
Serbi ancor le memorie e le catene
Se dal mio fato acerbo,
Fulminato e schernito,
Sul lido incenerito
Scrive lo stral di morte
Anco novi decreti.
Alle mie pene fu mia strana sorte:
Partorii figli in terra
Ch’al simulacro mio strinsero avvinto,
Fin dov’in mar precipitoso frange
L’Istro gelato e l’odorato Gange,
E mi reser devoto
Il Giordano immortale e’l Nilo ignoto.
Che più? L’istesso mare
Provò i miei nodi all’hor ch’a giorni miei
Più dell’arene io numerai trofei.

Ma lasso hor che mercè del solo amore,
Diramando i cipressi
Alla chiar’ombra de’ più degni allori,
Vivea donna real ch’al solo sguardo
Fea tributarii a me l’anime e i cori;
Il fato ecco invidioso
Anco a questo ben povero mi fò
E donandolo al ciel lo tolse a me.
Così dimesso e roco
Già mormorando e lacrimando il fiume,
Quando con auree piume
Flagellando dell’ombre il denso volo
A gran corso la Fama,
Con saetta di luce
Il tergo li ferì
E temprando il suo duol cantò così:

Frena il pianto, o Re de’ fiumi,
Ch’a’ tuoi numi
Come fusti anco sei caro.
Se tu piangi un sol che morte
Con man gelida eclissò,
A tuo pro
N’apre un altro il ciel più chiaro.
Dall’austriaca gloria avita,
MARGARITA a bearti ecco sen viene,
Per far ricche le tue sponde,
Questa gemma amore un dì la rapì
Fin di grembo alle sirene.

Al girar de’ suoi splendori,
Tanti ardori
Chiuderai nel seno avvinto
Ch’arderai benché di gelo;
E tua dolce libertà
Legarà
D’un crin d’oro il labirinto.

Nel tuo sen lieto e giocondo,
Servo il mondo
Reggerà d’amor la brezza
Per costei chiaro il tuo nome
Dov’il sol nasce e morrà,
Volarà
Sovra l’ali di bellezza.

Così diss’ella e intanto,
Con insolita gioia,
Senti sonar d’intorno
Di MARGARITA il nome.
Dalla cuna dell’erbe
Alzano i fiori l’odorata fronte,
E credendola il giorno
All’apparir degl’occhi suoi lucenti
Chinaro il gambo ad adorarla intenti;
Ogni prato et ogni sponda
Al suo piè lastricato il suol di rose,
Corse l’aura e rise l’onda,
Fuggì l’ombra e si nascose.

Uscì il sol dall’oriente,
Ma degl’occhi al sol lucente
Vinto Febo impallidì.

Il TEBRO allor così,
Serenando lo sguardo
Che dona legge a’i popoli dell’acque,

Disse tre volte o me felice e tacque.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Rama - Roma - Bibliomediateca Accademia Nazionale Santa Cecilia
fondo Mario
collocazione A.Ms.250.1

Scheda a cura di Giacomo Sciommeri
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