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Tipo documento
Data
Titolo
Presentazione
Legami a persone
Fa parte di
Redazione
Descrizione fisica
Filigrana
Note
A basso della prima pagina: "Nella stagione appunto". La cantata è anche conservato nel manoscritto D-MÜs, Sant.Hs.855 databile 1689-1690. Exlibris: "Ex bibliotheca Dr. Fr. Chrysander"
Titolo uniforme
Organico
Bibliografia
Descrizione analitica
Nella stagione appunto
S'io miro il tuo bel seno
Se poi rifletto à gli occhi
Anzi negli occhi stessi
Mà perdona l'ingiuste querele
Tal hor veggio al tuo crine
Quando cadde l'incauto Fetonte
Tal hor ti veggio intenta
Bella mano, che di latte
Bella mano, dove ignoto
Pur mi rende stupore
Tiranna, se hai vanto
È strana al fin la veste
Crudele, se al canto
Trascrizione del testo poetico
Nella stagione appunto,
Che il Pianeta maggiore
Calca con piè di luce i segni ardenti,
Eurillo tormentato
Dagli strali d’amore,
Da la forza del fato
Espresse le sue pene in questi accenti:
Clori, che stravaganza
Pose di segni opposti
Il Ciel nella tua salma,
Ond’è che la speranza
Mi nutrisce tal’hora, indi risorge
Tema perversa à in torbidar la calma.
S’io miro il tuo bel seno,
Consolo i miei cordogli
E spero, spero sempre;
Poiche nella durezza
Di due candidi scogli
Prometti di fermezza
Eterne tempre.
Se poi rifletto à gli occhi,
Ritorno al pianto mio,
Ne spero, spero mai.
In lor ceruleo nacque
L’ardor del cieco Dio
E della fè dell’acque
Io temo assai.
Anzi negl’occhi stessi
Stravaganza maggiore osservo, o cara,
Se del mio core à gioco
Fanno strali di mar, piaghe di foco.
Mà perdona l’ingiuste querele,
Che quest’alma non sa che bramare,
Se nel duolo talor si confonde.
E ragione, mia bella crudele,
Che se Venere nacque dal mare,
Porti à gli occhi l’effigie dell’onde.
Tal hor veggio al tuo crine
E dico poi, che nel cielo arrossita
Tacerà Berenice i vanti suoi.
Quando cadde l’incauto Fetonte,
La tua Parca per opra di stelle
Del bel crin gli recise la morte [mole].
Dunque è forza, mio bene, che in fronte
Porti i lacci di chiome si belle,
Se son chiome del figlio del sole.
Tal hor ti veggio intenta
D’istrumento canoro
À flagellar su l’armonia le corde.
E contemplo la mano,
Che ingelosir procura
Della più vaga Aurora i casti albori.
Ivi ancor parmi strano,
Che la neve resista a tanti ardori.
Bella mano, che di latte
Già spogliasti al Ciel la via,
Fogli son tue nevi intatte,
Ove amor per più tormento
À caratteri d’argento
Registrò la morte mia.
Bella mano, dove ignoto
Cieco nume elesse il nido,
Move un alma ogni tuo moto
E in te scorge questo core
Con più cifre di candore
Gli obelischi di Cupido.
Pur mi rende stupore
Veder ne la tua bocca
Schiere di perle a due coralli in braccio
E il nome ancora inganna,
Se ti chiaman pietosa e sei tiranna.
Tiranna, se hai vanto
D’angelico nome,
Dimmi, come condanni nel pianto,
Dimmi, come con barbari lumi
Nell’inferno d’amor l’alme consumi.
È strana al fin la veste,
Che tua beltade ingombra,
Se si vede la luce in seno all’ombra
Crudele, se al canto
Sei figlia di Giove,
Dimmi, dove rubasti quel manto,
Dimmi, dove risplender mai suole
Col manto della notte al mondo il sole.
Paese
Lingua
Segnatura
collocazione M A/252.5
Scheda a cura di Berthold Over