Scheda n. 10725

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Musica manoscritta

Data

Data incerta, tra il 1640 e il 1660

Titolo

Chi fugge d’amor gl’affanni

Presentazione

Partitura

Legami a persone

compositore: Carissimi, Giacomo (1605-1674)
autore del testo per musica: Benigni, Domenico (1596-1653)

Redazione

Copia

Descrizione fisica

C. 171-182v

Filigrana

Non rilevata

Titolo uniforme

Organico

2 soprani e continuo

Repertori bibliografici

Rose 1965: p. 166, n. 30

Bibliografia

Amendola 2016: p. 72, n. 16

Descrizione analitica

1.1: (aria, do minore, c3/2)
Chi fugge d’amor gl’affanni
1.2: (aria, do minore, c3/2)
Chi segue d’amor lo strale
2.1: (recitativo-arioso, do minore, c3/2)
A chi misero more
3.1: (aria, do minore, 3/2-c)
L’empia Dea che sempre instabile
4.1: (recitativo, c)
Piovano a’ danni miei da’l ciel d’amore
5.1: (aria, sol minore, c)
Filli, Non più querele, Tirsi,
6.1: (duetto, do minore, c-3/2)
Star ardendo in vivo foco
6.2: (aria, do minore, c-3/2)
Star in pene e dir che gode

Trascrizione del testo poetico

Chi fugge d’amor gl’affanni
E morte piangendo chiama
Se non gode de’ suoi danni,
Non ha core o che non ama.

Chi segue d’amor lo strale
Piangendo non si lamenti
Se fedele è nei tormenti,
Muta in gioia ogni suo male.

A chi misero more
In man de suoi tormenti,
Fido servo d’amore,
Perché negare ohimè pietosa aita?
Pria ch’io perda la vita,
Prima ch’io venga meno
Scaldi Filli il suo seno
Della face d’amor un lampo solo
Il mio affanno, il mio duolo.
Il tormento, il martire
Son pur lingue innocenti
Che domandan pietà del mio morire.
Alla pura mia fede,
All’acceso mio foco
Non vi nieghi mercede
Chi dimanda pietà dimanda poco.

L’empia Dea che sempre instabile
Volge intorno errando il piè
Ahi che per me è già fatta invariabile
S’amante misero sempr’ho da piangere.
La mia vita, il mio bene
Mi radoppij le pene.

Piovano a’ danni miei da’l ciel d’amore
E tormenti e rigore.
Nel mio lungo martire
Se non seppi goder saprò morire?

Filli
Non più querele, Tirsi,
Lungi lungi I martiri
Più non senta il mio cor dirsi crudele
Sempre di piant’aspersi
Portar sul volto i lumi
E con torbidi fiumi
Far palese d’un sen l’aspro dolore
È viltà di chi adora e non d’amore.
Empia stella severa
Già non mi pose in seno
Alma cruda di fera
A celar non mi diede un cor di sasso.
Se del mio volto un guardo
Seppe destar già nel tuo petto il foco
Con infocato dardo
D’Amor ch’a nullo amato amar perdona
Sento ch’a poco a poco
Nel mio lacero sen saetta e tuona.

Tra i sospiri a un fido amante
Non mostrar ferito il core
Simular volto e sembiante
È pietade e non rigore.
Deh non più l’anima
Si sciolga in lachrime
A pensieri di morte
Fredda man di chi more
Più non apra le porte.
Habbia intrepido il core
Chi vuol essere amante
Chi desia di morir non è constante.

Star ardendo in vivo foco
Non curar pianti e sospiri
Soffrir lieto i suoi martiri
In amor è sempre poco.
Tra fiamm’e catene
Son dolci le pene
L’affanno è mercede
A chi servo è d’amor basta la fede.

Star in pene e dir che gode
Adorar beltà severa
Dir che serve e che non spera
D’un amante è vera lode.
Tra pianti e querele
Un’alma fedele
Soccorso non chiede
A chi servo è d’amor basta la fede.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

F-Pn - Paris - Bibliothèque Nationale de France
collocazione RES VM7-102-150.48

Scheda a cura di Teresa Gialdroni
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