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Due fidi Pastorelli
Mentre pascean gli armenti,
Sedean lieti e contenti
Sopra d’un verde colle.
Aminta uno di questi,
Composto il labro al riso,
E con ciglio sereno
Così disse a Fileno:
Mille, e mille Pastori
Dicono Amor tiranno,
Mostro crudele e fiero;
Altri lo chiaman Nume
Donator de’ contenti, e de’ piaceri.
Io nol conobbi mai,
O perché diffidasse
Ch’avessero i suoi strali in me ricetto,
O perché nel mio petto
Non trovassero loco,
Giammai provò il mio cuore
Le ferite d’Amore.
Se sia Nume, o pur Tiranno
Questo amore, ancor non so.
Del suo strale o vezzo, o affanno
Il mio cuore mai provò.
Rispose allor Fileno:
Troppo, Aminta, t’inganni,
Se pensi che il tuo cuore
Non abbia un dì a provare
Le servitù d’amore.
Amor vita è del Mondo.
Il suo piacer giocondo
Veste i prati, ed i fiori
De i più vaghi colori.
Quando in Ciel ride l’Aurora,
E che lieta i prati infiora,
Il suo riso è sol d’amor.
Dell’auretta il bel respiro
È un suspiro [sic]
Che dà vita al proprio ardor.
Amar dunque dobbiamo.
Ma siccome l’amore
Padre sempre non è d’impuri affetti;
Scegliere a noi conviene
Quell’Amore, ch’è Nume, e non Tiranno.
Ama la volontà
Ciò che a lei proponiamo
Come degno d’amore.
Qualor giusto è il pensiero,
È giusto ancor l’ardore.
Onde per bene amare,
Del nostro vero affetto,
Non un ben finto,
O una bellezza frale
Giusto è che sia l’oggetto;
Ma bensì la virtù,
Che mai vien meno:
Quella, che di sé stessa
È premio, ed è mercede:
Che appaga, e non inganna:
Che diletto è del cuor, né mai Tiranna.
Se son belle Filli, e Clori,
La virtude è ancor più vaga.
Ciò, che è bello, piace, e alletta;
La virtù piace, e diletta:
Questa sol contenta, e appaga.
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shelfmark Ms. Gesuitico 88.22
Record by Giacomo Sciommeri