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Maria Girolama (?-1712), figlia di Marcantonio V Colonna (1606?-1659), VII principe e duca di Paliano, fu una suora del Monastero dei SS. Domenico e Sisto in Monte Magnanapoli di Roma dal 1649; cfr. Raimondo Spiazzi, Cronache e fioretti del monastero di San Sisto all'Appia, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1993, p. 566. La poetessa le dedica un sonetto, Chi t'inalza da terra, e dove tenti, edito anch'esso ne Li divertimenti poetici (scheda n. 12255).
Si tratta del primo componimento paraliturgico (musica di autore ignoto) posto in versi da Maria Antonia Scalera Stellini insieme a Il trionfo di sant'Agata vergine e martire dedicato alle suor Maria Colomba e Maria Alessandra Colonna (scheda n. 12585). A mio avviso si potrebbe ascrivere alla poetessa anche il testo dedicato a suor Olimpia Maria (1671-1746), figlia di Agostino Chigi (1634-1705), I principe di Farnese: '"OPERINA / SACRA / in Musica à 3:ᵉ co' Wiolini rappresentata in occasione che prende / l'Abito / FRANCESCANO / Nel Venerab:ᵉ Monast:ᵒ di / SAN GIROLAMO DETTO CAMPANZI DI SIENA / L'ECCELLENTISSIMA SIGNORA PRINCIPESSA / D. OLIMPIA CHIGI | [...] | L'Anno 1686" (incipit: Non ha la terra o l'onda; musica attribuita a Leopoldo Magini; partitura in V-CVbav, Chigi Q.VI.84).
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Bibliography
Poetical text transcription
Personaggi che parlano.
MUSICA.
POESIA.
SUONO.
QUATTRO ANIME ACCESE D’AMOR DIVINO.
RAGIONE.
TEBRO.
Musica, Poesia, Suono.
MUSICA
Se ’l sacro allor non ti cingesse il crine,
Misera Poesia, io non t’havrei
In mia fé conosciuta, e chi de’ bei
E ricchi fregi tuoi fece rapine?
POESIA
Forsi ciò dici, perché in vaghe vesti
Tu le corti passeggi? in van ti gonfi,
Tutto è mio don, son miei, non tuoi trionfi,
Ché s’io non ero, al mondo non saresti.
Io tra cenciosi ad habitar ne venni,
Non per seguir de’ ricchi il fasto insano,
Né per donare i miei tesori in vano,
Ché tai non fûr del mio gran padre i cenni.
MUSICA
Di te, de’ tuoi fu proprio l’alterarsi,
Chi di corte, e de’ ricchi vuol fuggire
Le pompe, e gli agi, o li rancori, e l’ire
Tra superbe magion non de’ fermarsi.
POESIA
Che superbe magion? qui l’Humiltà
D’ogni virtù più rara, erge bandiera,
Quivi tra sacro suolo, e nobil schiera
Spero asilo trovar, spero pietà.
MUSICA
Il ciel lo voglia, io qui non venni teco
Cara, a garrir, ma sol, che l’amor mio
Renda avveduto il mobil tuo desio;
Meglio è tardi veder, che viver cieco.
POESIA
Meglio acciecar, ch’offender Dio col guardo;
Dimmi, che chiederesti? io vuo’ seguire
Del tuo sincero amor l’alto desire,
Salvo l’honor da stil finto, o bugiardo.
MUSICA
Dura sentenza ohimè, di questa appunto
Io ti volea pregar, tu sai che ‘l vero
Qual angue, o tigre, o qual leon più fiero,
Ogn’huom lo fugge, ogn‘un ne va disgiunto.
Pur se la verità condur tu vuoi
Tra lo stuolo mondan, vesti, e sembianze
Cambiar le devi e con le nuove usanze
Dar nuova piega a li vantaggi tuoi.
Oppur non lasciar me, sai, che gradita
Per tutto io son, neppur v’è regia porta,
Ch’a me non s’apra; ecco la via più corta;
O segui il mio sentiero, o sei spedita.
POESIA
E spedito il mio honor, quando su i palchi
A profanare il mio vergineo zelo
Per forza mi conduci, ove il bel velo
Squarci a ragion, e la modestia calchi.
Il dolce canto, e l’armoniosa voce
Sconcerta il cor, anzi discioglie l’alma;
Indi lungi dal ciel con grave salma
Al precipizio suo cala veloce.
MUSICA
Tutto è vero, o mia bella, io lo discerno;
Ma se l’huom brama il peggio, in che manch’io,
Alzi ei la mente al cielo, indi col mio
Canto terren, può ponderar l’eterno.
Del mondo alle vicende, anche uguagliare
La Musica si puote, ed io qual fui
Inventrice dell’arte, i sensi altrui
Col saggio paragon vuo’ trasformare.
Ma non vorrei, che del mio dire il corso
Al tuo immenso saper rendesse noia.
POESIA
Anzi di‘ pur, ché ‘l sen m’empie di gioia
Il tuo sublime, il tuo moral discorso.
MUSICA
E longa, e breve, semibreve, e minima
Stima il mondo virtù, corta la vita,
Breve il goder, longa tristezza addita
E la gloria mondana è semiminima.
La croma, e semicroma all’huom insegna
Dell’hore il vol, lo sdrucciolar de’ beni;
Trovan minima posa i dì sereni,
Grave, acuto sospir, di duolo è insegna.
Ha contrapunto egual l’humano oprare,
Sa fingere alterare; e nel salire
Prova cadute il suo sfrenato ardire,
E scherzi e paci, in ire ei sa cangiare.
D’invenzion, capricci, e trilli, e giri,
Correnti, fughe, affetti, e de’ passaggi
Tal musica n’abbonda, i cui vantaggi
Son cadenze e morir fin de’ martiri.
POESIA
Se penetrasse l’huom, per tua sciagura,
Questi arcani divini, addio tesori,
Addio musica, addio fasti, ed honori
Né rideresti più di mia sventura.
MUSICA
O virtù, che dell’altre hai scettro, e palma
Purtroppo m’offendesti: ah se ’l mio canto
Fusse all’alma cagion d’eterno pianto,
Perisca or or pria che si perda un’alma.
POESIA
O celeste armonia di lieta sorte
Cara amica fedele, ecco che ratto
Teco il passo mov’io, ma con tal patto
D’andar ne’ templi, e di fuggir la corte.
MUSICA
E pur lì: farò già quanto m’imponi,
Se tutto devo a te, devo ubidirti.
POESIA
Et io a tuo pro, voglio i miei sensi aprirti;
Andiam, che sento un mormorio di suoni.
SUONO
Dove senza di me; ratti qual vento
Voi fuggiste di qui? trovarvi spero,
Ché non andrà, se tal sarò, qual ero,
Musica, e Poesia senza istromento.
Taci; tornano pur, o Dio che veggio?
Son le baccanti in vero io benché reo
Non sia qual fu, quel gran cantore Orfeo,
Voglio fuggir, che in van pietà qui chieggio. (parte)
Quattro anime santamente innamorate, quali volendo palesare i loro divoti affetti, discordi nel suono non sanno dar principio.
PRIMA ANIMA
Amor grida il mio cor,
Arda chi pria gelò
Son baccante all’ardor,
Stringo il foco vital, che m’infiammò,
E se pria fui rubella
All’invito d’amore, or sono ancella.
TUTTE
Amor, non quello già,
Che con dorato stral
Strage de l’alme fa
E lega la ragione al senso fral,
Ma quel che in ciel risplende,
E di fuoco immortal le menti accende. (seguano)
Dell’oggetto su, su,
Con armonico suon
Si spieghino le virtù,
Su de’ legni febei s’accordi il tuon;
E tal fia l’armonia,
Che ne’ spazî del ciel
L’armonico rotare il giro oblia. (si comincia a suonare)
Qui si suona a capriccio, e che cos’è,
Chi sconcerta, e molesta
Gli armonici concenti?
E i nostri lieti accenti
Qual rio fallir funesta? (segueno a suonare discordemente)
Troppo è discorde il suon, che far dovremo,
Lasciamo, o seguiremo?
Chi le mani ci lega,
Chi la lingua incatena,
Chi l’armonia ci nega,
E chi l’ardor raffrena?
Ché mentre palesar vogliam gli affetti;
Restan mute le lingue, e freddi i petti.
No, no nostro è l’errore,
Il fallo ogn’alma uccide.
Egli è ‘l fier che recide
Ogni pianta vital dal nostro core.
Ma se infesta il fallir di nostra armonia
Ricorriamo a Maria.
Arietta assieme.
TUTTE
O luce dell’alma
Del cielo o tesor,
Deh porgi la calma
A i flutti del cor,
Maria deh scampaci,
Ché senza te
L’alma abbandonaci
E già mort’è
Se alcun ristoro
Non mandarà
A consolarci,
La tua bontà,
Qual ne sarà
Del nostro core,
Ché già si more,
Tu puoi giovarci
Con tua pietà.
Comparisce la Ragione.
Tutto può l’humiltà,
Ella qual calamita,
Ne la terrestre mole
Ha virtù sì potente,
Ch'ogni ferrigno core
Di viva fiamma accende
Al suo focoso ardore.
Anzi sì lieve il rende,
Con sue mute parole,
Ch’impennato d’amor, dove l’invita,
Spicca il volo repente;
Né del rival il diamante, ei stima fa,
Tutto può l’humiltà.
Colà tra serafini,
Dove palma, e mercede
Sol de l’alme è la gloria,
Dov’ha bando il rancore,
Fatica, oltraggio, ed ira,
Discordia, astio, timore;
Ove sdegno non spira,
Là questo sol di fede
Questa aurora di grazie, i vostri inchini
Portò con sua vittoria;
Questa de’ falli ottien da Dio pietà,
Tutto può l’humiltà.
Dal sommo bene ottenne
Ch’io di sua palma humile,
Ne sia la relatrice:
Io, che son sferza, e legge
Di voglie sregolate,
Di voi la varia gregie
Dell’alme travagliate
Vuo’ ridurre all’ovile,
Ché mentre l’alma dal cader sostenne
Nella colpa infelice,
All’avvinta ragion diè libertà,
Tutto può l’humiltà.
Su, su le menti unite
A superare audace
Le tempeste possenti
De’ sensi, e de’ pensieri
E d’ogni virtù rara
I nemici più fieri
Col terminar la gara,
E i vostri affetti ardenti
Con regola di gradi hoggi scovrite
A me ragion verace,
E l’oggetto svelar che al cor vi sta;
Tutto può l’humiltà.
Tre anime invitano la prima al canto.
TRE ANIME
Non più indugi non più,
Hor, che tra noi non v’è
Chi sia maggior di te
Pria gli affetti spiegar dovresti tu,
Non più indugi, non più.
PRIMA ANIMA
A i concordi voleri ecco ubidisco
E la legge de’ cenni ora eseguisco.
TRE ANIME
Anzi sarà
Il nostro core avvinto
Dalla celerità.
Spiega la prima anima li suoi divoti affetti verso la Beata Vergine, e santa Elisabetta.
PRIMA ANIMA
Su quel tempio sacrato,
C’ha mura di zaffir, di gemme il suolo,
Di due distinti oggetti ho ‘l cor piagato;
Nome han di sole e stella,
Una che ‘l tutto impetra, e l’altra è ancella;
Se ‘l sol mirar ardisco
A’ suoi rai incenerisco;
Se alla stella talor io volgo i lumi
Forz’è ch’io mi consumi,
Se in un punto ambedue riguardo humile
Nudriscono ambe in seno ardor simile,
E in istrane vicende
In sì bel rogo il cor forza più prende,
Nel mio giorno vital notte non è,
Che s’io ardo al mio sol, splende ei ver me
Tersa fronte mi vinse più,
Guancia annosa gioir mi fa,
Chioma d’oro mio laccio fu,
Crin d’argento legommi già.
L’uno adoro prostrata, e l’altra inchino
Ch’ambe dan lena all’arduo mio camino,
Di pari è grave il sen, ma non lo stato,
Che ‘l sol l’ha puro, casto, ardente, aurato,
Questa al mondo darà sole maggiore,
Darà quell’aurora il precursore;
Già sono unite, e con affetti espressi
Incontrano i senil verginei amplessi,
E mentre ambi d’amor stillano il pianto
Un parto esulta in sen, l’altro fa il santo.
RAGIONE
Chi da’ lacci del senso or sciolto va,
D’ogni impudico ardor trionfarà.
Second’anima innamorata della povertà della Beatissima Vergine.
SECOND’ANIMA
Inerme donzella
Sprezzata, e men bella,
Che ‘l mondo abborrì
Mio core invaghì;
Non è ricca, ma ricca pur è,
Non ha oro, e tesori pur dà,
Nulla puote, e possente è di fé,
Regio core tremar ella fa;
Che farò, vuo’ seguir pur costante
Questa vaga ignota errante
Fin dove aura di sorte unqua spirò,
Che farò?
Seguirò.
Se per opra d’affanni, e stenti
Gran vittoria s’acquista in un dì,
S’armi il mondo, e dite a mio danno,
Non pavento, la bramo così,
Ché so bene quanto ella ha pietà,
Ché se lega la libertà
A chi serve dà grata mercé,
Non è ricca, ma ricca pur è,
Non ha oro e tesori pur dà,
Nulla puote e possente è di fé,
Regio core tremar ella fa;
Ben conosco, ch’arduo sentiero
Faticoso, crudele, e severo
Per l’acquisto varcar io dovrò,
Che farò?
Seguirò.
Sì, sì, si segua pur ch’alto riposo
Lo stral m’addita già, che mi ferì,
Sia suo volto aspro, e spinoso
Non pavento la bramo così,
Cieco mondo io stimo assai più
De’ tuoi fasti sua bella virtù,
Chi sarà poi più lieta di me.
Non è ricca, ma ricca pur è,
Non ha oro, etc.
RAGIONE
Vince, combatte, assalta, spera, e crede
Ché ‘l trionfo otterrà dalla sua fede.
Terz’anima amante dell’austerità per amor della Beatissima Vergine.
TERZ’ANIMA
Un mostruoso oggetto
Mi pinse amor nel petto,
Qual sia, come soggiorna e quanto l’amo
Ecco, che dirlo io bramo?
Il mio ben genio ha di fera;
Pianto ardente,
Herba pungente,
Pasce, e ristora l’alma severa,
Il mio ben genio ha di fera.
Sasso gelido, e scabroso
Il suo fianco per letto ha;
Ivi breve, aspro riposo,
Con sé cruda, a i sensi dà;
Il suo albergo è più ferino
Sovra indomito, irsuto, e calvo monte
C’ha per ombra gli errori, e ghiaccio in fronte
Ove le belve né men s’aggrappano,
Né pur del sole i raggi scaldano,
Ma vi germogliano,
Atri spaventi, che ‘l core ingombrano;
Ivi è lo speco humil della mia altera
Il mio ben genio ha di fera.
Per nume sì mirabile
Amore m’impiagò,
Sia il genio suo sprezzabile
Odiar nol vuo’, no, no;
Strale più fiero al core io stringo
E più lo spingo
Quanto ha più crudeltà,
Fra spine, aculei il sen distendasi
Tra geli orribili il cor raccendasi.
Né mai di Venere,
Per me fioriscano
Le rose tenere,
Vuo’ tra l’arme trovar pace vera,
Il mio ben genio ha di fera.
RAGIONE
Che stravagante humore
D’un delirante core,
Anzi d’un cor selvaggio
Se d’intanarsi brama, ah ben l’intende
Per trovar gemme eterne, i monti ascende.
Quart’anima amante di sant’Anna.
QUART’ANIMA
Se già preda ti fé d’alti stupori
Il sentir gli altrui ardori
Ascolta il mio desire, ahi per pietà
Ch’audace più d’ogn’altro a te parrà:
Infucina d’amore divino
Si fa tempra del mio dardo,
Al sembiante peregrino
Mai potei drizzare un guardo,
Sol con ritratti pasce mia fé,
Che ‘l mio sole lungi è da me;
Nella tela, che ‘l nume mi svela
Finge, e pinge decrepita età,
Tra le brine di grazie divine
Il mio core sepolto starà.
E con alma humile, e pura
Vuo’ amar l’original nella pittura,
Se di fede, e di speranza,
Drizzò i rai dov’è sua stanza,
O qual bello io vi discerno,
Quanto vario dal pennello,
Che colà nel regno eterno
Splende già qual sol novello
Pel cui lume adorato il cor languisca
Ai cui raggio divin, s’arda, e nodrisca
Né colori
Tra quei lavori
Inchino il nume con salda fé
Fin che un giorno,
Di grazie adorno,
Il mio sole venga da me,
Stral, che nasce dal cielo, e dolce, e pio
Né può gioia uguagliarsi al penar mio;
Quel lume sì amabile,
Che l’alma illustrò,
Che ‘l mio affetto adorabile
Nel carro suo inchiodò,
Lassù nel cielo
Carca di zelo
Quanto vorrà
Tanto otterrà
Ne fia stupor, se a questa il tutto lice
Ch’al fattor partorì la genitrice.
RAGIONE
Gran virtù la costanza
Se si ciba di speranza,
Che se qual cieco amante il bel non vede,
Ove l’occhio non può, giunge la fede.
Arietta assieme.
TUTTI
Amate catene
Stringete, annodate,
Crescete le pene,
Pietose non siate,
Da laccio ignobile
Di falso amor
Ogn’alma nobile
Sciolga il suo cor;
Tutto svanisce,
Tutto finisce,
Non v’è qua giù fra noi cosa durabile,
Tutto è falso, è variabile,
Ogni cosa è pien di noia,
Sol nel ciel è vera gioia;
Del cielo sì, sì
Raddopisi
Incontrisi
L’amore,
L’ardore,
La notte, e ‘l dì,
Il patire,
Il morire
Per sì pietoso
Nume amoroso
Come ci sembra sì, duro non è
Ché solo nel cielo s’ha vera mercé.
TEBRO
Io son quell’io, che vanto
Mio genitor possente
L’elevato Apennino;
Ché qual novello Atlante il dorso invitto
Alla gran soma del regnare incurvo.
Di mille scettri, e mille
Sostenitor temuto,
Che la più nobil parte è la più bella
Dell’italiche sponde
Bagno con le bell’onde;
Quell’onde, che già tinte
Di sangue hostile, e grave
Di barbare corone,
Serbar vive ne’ marmi
Di lor torbido corso, e fuggitivo
Christallina la fama.
Quell’io, che i miei trionfi
Numero con l’arene,
Che gonfio al ciel m’inalzo
Su i vanni di virtude,
Ove m’apro il bel varco
De le stelle e de’ petti;
In fin son’io un fiume
D’acque, ma son un mare
Di vastissime glorie,
Quel Tebro son, che altero
Vanto, per letto, e lido un mondo intero.
Ma di tanti miei pregi,
Di sì ricchi trofei,
Questa invitta COLONNA
Precorrendo il mio corso
Ne fu duce infallibile, e fanale,
Questa co’ suoi bei raggi
Rischiara le mie onde
Purga il mio letto, e li miei campi infiora,
Questa il mio lido indora,
Mercé del cui tesoro
Ogn’altro fiume, o mar, dall’Indo al Moro,
La palma a me concede
Hermo, Pattolo, Gange, ogn’altro cede
De’ miei lidi sirena,
I cui divini accenti
Ogni volere affrena,
Ogni alma alletta, e d’ogni core avvince;
Il cui soave canto
Tempo, e morte severa
Prima addormenta, e poi gli ancide altera.
Questa è quella colonna
Che ‘l campo filisteo
De l’aggiacciata invidia atterra, e schiaccia
Il di cui sol valore
Inespugnabil vinse i più feroci;
Che dal popol di Marte
I più famosi heroi
Nelle più dubbie imprese
Per strade ombrose, et aspre
Fatta splendida guida,
Arricchì di valor e di trofei;
Le di cui cime, alle cui vaste basi
I scorti vincitori
Posar le prede, e coronar d’allori;
Questa è dunque del Lazio
L’animato sostegno,
Che sorvolando al ciel con pura mente
Da l’humiltà guidata,
Qual nuova intelligenza il cielo aggira
E da quel moto aura di grazie or spira.
Country
Language
Shelfmark
shelfmark 71.11.A.4.132
Record by Giovanni Tribuzio