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Poetical text transcription
Frammento primo.
Non caduco sudor, che da le chiome
Per sentir faticoso il volto inonda,
Sotto stella seconda
Sempre non basta a far’eterno un nome.
Quanti d’onor bramosi
Volsero intenti a bell’oprare il ciglio,
Ch’in lunga notte ascosi
Soffron del tempo ingiurioso artiglio!
Da sì fiero periglio
Non risorge virtù, s’astro benigno
A cantarne non desta aonio cigno.
D’atra morte per te legge sì rea
Non si scrisse, MATILDA, in su la tomba,
Odi, come rimbomba
Per te su ’l Vatican cetra Dircea:
Cetra, cui diede il Cielo,
Lieta svegliando a l’aure i tuoi splendori,
Con bel fulmineo telo
Squarciar di morte i tenebrosi orrori.
Dove strali canori
Scioglie da l’arco aurato Euterpe, o Clio;
Vittorioso non guerreggia oblio.
Ma dove regna URBANO, è forse poco,
Che divoto Parnaso offra i suoi carmi.
Mandi Liguria i marmi
E tempri i ferri a novo Fidia il foco.
Te, Bernin, chiama a l’opra
E tu con mano a dar la vita avvezza
Fai, ch’eterna si scopra
Scelta ne’ sassi tuoi l’alta fortezza
Che d’amor, di fierezza
Armata il petto a guerreggiar discese,
E ’l soglio a Pietro e ’l Vatican difese.
Temerario pensier che non ardisce?
Spinto dal suo furor barbaro stuolo
Per l’italico suolo
Né la gregge di Cristo incrudelisce.
Secondo.
Arma beltà rapita
Di vendetta e di ferro alme sabine
E le mura latine
Già chiama in guerra orrida tromba ardita:
Copron di ferro i campi
Quinci e quindi le schiere
E par, ch’il Tebro entro i suoi fonti avvampi:
Già di duol messaggiere
Volan tinte di sangue aste guerriere.
Quand’ecco audace il seno
Porta stuolo di donne in mezo a l’ire
E con novello ardire
Stringon di Marte a l’empie furie il freno.
O possente fra l’armi
Dolce legge di sangue,
Che disdegno e di rabbia altrui disarmi!
A te ne’ campi essangue
Cede avvinta Bellona e fredda langue.
Terzo.
Curvisi l’arco a fulminar Pitone.
Musa tal’or di nobil alma e segno
Far, che tinte di sdegno
Vibri Parnaso aspre saette e tuoni.
Chi può di duolo empir volto sereno,
Ha di tosco Lerneo gravido il seno.
S’io di ferro non armo oggi la mano
A vendicar di sì grand’alma il pianto;
Almen mi darò vanto
Ch’i dardi Ascrei non vibreransi in vano.
Portar di Pindo i generosi strali
Sanno a pro di virtù piaghe mortali.
Ma chi ’l segno nasconde a miei desiri,
Perch’io saetti il fiero mostro a voto?
Sì, sì, giacciasi ignoto:
Alma indegna d’onore il sol non miri.
Nube d’orrore intorno il copra e porte.
Lete in pena al suo nome ombre di morte.
Quarto.
Vago di gloria a saettare intento
Se mai chiesi a Parnaso armi di sdegno;
Oggi per me da l’Eliconio regno
Scenda strale qua giù figlio del vento.
Con bellicoso accento
Non di finta chimera io chieggio il sangue:
Il più pestifero angue,
Che ne’ libici campi il cielo attoschi,
Con lividi occhi e foschi
D’atro veleno infetti
De’ miei giusti furori i colpi aspetti.
Sciolga Acheronte intra i sulfurei lampi
Qual più cieca là giù Furia si serra;
Che mostro è più crudel barbara guerra,
Che di sangue civile inondi i campi.
Quinto.
Io su la cetra, che le corde ha d’oro,
Rintracciar non desio
Fra le gelide tombe oggi gli eroi.
Altri cinto d’alloro
Svegli ne’ carmi suoi
Fama, che lunga età sparse d’oblio.
Gloria del canto mio
Sia celebrar d’un novo nume i pregi:
Nume, che può de regi
Empir l’alma d’invidia e a suoi vanti
Far, che sposi parnaso inni festanti.
Sesto.
Su la cetra ch’ai numi inni prepara,
Prendi Euterpe a svegliar le corde d’oro.
Coronata d’alloro
Virtù, che mai non langue,
Ne’ gran campi del ciel splende più chiara.
Non sia la Tromba avara
Al sommo eroe, che di sudor, di sangue
Sparsa la nobil fronte,
Fra gli oltraggi, fra l’onte
Seppe invitto inestar con novi onori
A cipressi stranieri itali allori.
Country
Language
Shelfmark
collection Borromini
shelfmark S. Borr. Q.IV.223.44
Record by Nadia Amendola