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Poetical text transcription
Strofe Prima.
Qual fu barbaro cor di pietà ignudo,
Che dal seno profondo
Svelse de l’ampia terra il ferro crudo?
Vide allor prima il mondo
Turbar squadre pugnaci
Con nemico furor le proprie paci.
Antistrofe Prima.
Crudo sdegno e fiero Marte
Con nov’arte
D’aspre punte i faggi armò:
Sciolto allor da l’arco atroce
Stral veloce
Per lo Ciel se ne volò.
Epodo Primo.
Ben tu morte crudel con mesti auguri
Superba indi mirasti
Più chiari farsi i tuoi trionfi oscuri:
Che vincitrice allor lieta calcasti
De l’umane grandezze i regij fasti.
Strofe Seconda.
Ma qual furore a saettar mi tira
Quella destra innocente,
O di canoro strale, arma la lira?
S’aprir del suolo algente
Non d’ira accese ed ebre;
Ma solo a nostro pro l’ampie latebre.
Antistrofe Seconda.
Per le spiaggie aspro bifolco
Più bel solco
Con l’aratro allor’aprì:
Vide il mondo a sue fatiche
Auree spiche
Biondeggiar liete quel dì.
Epodo Secondo.
Di Bacco tu, come su colli aperti
Accrebbe a tuoi tesori
Rustica vite allor fregi più certi?
Che su le mense con novelli onori
Distillò pretiosa i tuoi licori.
Strofe Terza.
D’alma crudele ansio desir venale
Fè su le dure incudi
D’incorno risonar ferto mortale
Folgoreggiar gli scudi:
Ma sol de l’oro ai lampi
S’armò Bellona e rosseggiaro i campi.
Antistrofe Terza.
Tanto può la sacra fame
Su le brame,
Ch’in un core ardon qua giù;
Che del Ciel fulmin tonante
Non si vante
L’alte mura incender più.
Epodo Terzo.
Là, v’è d’arco possente auree saette
Muovon barbaro assalto,
Caggion falsate al suolo armi più elette.
Torre, ch’invitta erge la fronte in alto,
L’ampie pareti in van copre di smalto.
Strofe Quarta.
Perché pura beltà non teme offesa;
Alza paterna cura
Dal suol mole superba a sua difesa.
Fanno in bronzi le mura:
In forte cella amica
Arte giunger non può d’alma impudica.
Antistrofe Quarta.
Rise Giove e sciolto in nembo
D’or, sul grembo
De la bella il sen posò.
E securo in regia soglia
Ricca spoglia
Trionfante al Ciel spiegò.
Epodo Quarto.
Sdegno ben può d’empio mastin, che latra,
Schernir povere frodi
Sotto notturno Ciel d’alma idolatra:
Ma d’oro al suon, ch’avido ascolti e odi,
Taccion sul limitar fere e custodi.
Strofe Quinta.
Troncò tessale querce aspra bipenne,
Che sopra i campi immensi
De l’Ocean prime spiegar le penne.
Ma d’oro avidi sensi,
Non desio di corone,
Su le rive del Fasi armar Giasone.
Antistrofe Quinta.
Allor già, che d’auree ghiande
Sue vivande
A le genti il bosco diè.
Non s’udì tromba feroce
Con sua voce
Portar guerra a l’altrui fè.
Epodo Quinto.
Entro cinto di mura in su le rocche
Tra guerriere faville
Non tonavano ancor ferrate bocche.
Senza tema mortal l’ore tranquille
Secure in libertà traean le ville.
Strofe Sesta.
Beate genti, a cui da l’alto coro
Diede di trarre il Fato
Sotto povero albergo i giorni d’oro!
O potess’io mio stato
Cangiar; come torrei
Viver negli antri vostri i giorni miei.
Antistrofe Sesta.
Se scherzando per la riva
L’onda viva
Dispiegò sua libertà;
Le mie note in un con l’onda
Su la sponda
Canteran sì bella età.
Epodo Sesto.
Ma che ponno i miei voti? al suon de l’armi
Sento, ch’acceso il core
Abbandona la cetra e lascia i carmi.
Deh bella Clio, non entri aspro furore
A turbar nel mio se tuo puro ardore.
Strofe Settima.
Tempo già fu, che ne l’altrui ruine
Chiare palme guerriere
Fregiar d’Italia gloriosa il crine;
E su le spiaggie altere
Mirò nudrir fra gli auri
Superbo il Tebro a’ suoi campioni i lauri.
Antistrofe Settima.
Or fra lacci e fra catene
Aspre pene
Teme stretta in servitù;
Che d’onor tronche le chiome
A suo nome
Stranio Ciel non trema più.
Epodo Settimo.
Tanto può lunga etade anima vile,
Teste con dolci inganni
Al suo libero piè laccio servile:
E ne’ teatri suoi fra nuovi affanni
Spettatrice rimira i propri danni.
Strofe Ottava.
O come, o come in sen d’urne vetuste
Gemon sul Campidoglio
Per te, misera Italia, anime auguste!
Ch’assise in regio soglio
Vider sotto il lor freno
Umil correr la Senna, il Beti e ’l Reno.
Antistrofe Ottava.
Ma dolor dove mi pieghi?
Gli altrui prieghi
Trar dal Ciel non san pietà?
Aspro fallo, colpa ria
L’ampia via
De le stelle aprir non sa.
Epodo Ottavo.
Deh tu Signor, de la tua gratia il fonte
Sovra i terreni affetti
Apri di lor, ch’odio conduce a fronte:
Cingan per te di fino acciaro i petti
A sante imprese e tuoi guerrier sian detti.
Strofe Nona.
E tu, che di sudore asperso i crini
Messaggiero Sovrano
Faticasti nel corso i gioghi alpini,
GIULIO tu, che d’URBANO
Minaccie e preghi ardenti
Dispiegasti temuto a re possenti.
Antistrofe Nona.
Or mi svela in suon verace:
L’aurea pace
Tornerà d’onde partì?
D’atri nembi il Cielo scarco
Lucid’arco
Fia, che porti un più bel dì?
Epodo Nono.
Tu, che mirasti quasi lampi o tuoni
Tra possenti guerrieri
Paventar le tue voci i regij troni;
Qual parto a sì gran moti il mondo speri,
Tu puoi solo ridire a miei pensieri.
Strofe Decima.
Che se vedrò di fortunate olive
Dopo nembi e tempeste
Placide verdeggiar le nostre rive;
Per te di rime intesse
Senza temere occaso
Vuò, ch’eterne corone alzi Parnaso.
Antistrofe Decima.
Che più chiaro e nobil vanto
Il mio canto
Intrecciar non può per te:
Ben sa Clio, che d’altro serto
Il tuo merto
Avrà tosto ampia mercé.
Epodo Decimo.
Perché cingan tuo crin fregi più chiari:
Da cupi fondi apriro
Già le conche più ricche a gara i mari
E già ne succhi pretiosi io miro
Le lane dissettar Sidone e Tiro.
Country
Language
Shelfmark
collection Borromini
shelfmark S. Borr. Q.IV.223.15
Record by Nadia Amendola