Record num. 7583

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Type of record

Printed text for music

Date

Single known date, 1667

Title

Si toccano i moti d’Europa con gli avvenimenti della peste e si termina la canzone con riflessioni morali. Più non mi suoni al fianco

Music format

Linked names

poet: Benigni, Domenico (1596-1653)

Publication

Copia

Physical description

Parte prima, pp. 23-29

Watermark

Not recorded

Uniform title

Più non mi suoni al fianco. Forma non specificata, Si toccano i moti d'Europa con gli avvenimenti della peste e si termina la canzone con riflessioni morali

Bibliography

Poetical text transcription

Più non mi suoni al fianco
Di quadrella volanti aurea faretra:
Di saettar già stanco
Porga novo soccorso al cor la cetra.
Per inospite selve,
Dal figliol di Latona
Abbian negli antri lor pace le belve:
Che furore di Marte e di Bellona
Più ch’alato destrier m’apre Elicona.

Peste, ch’in volto d’ira
Tragge sugli occhi miei rigida il pianto,
A sospirar mi tira
Et incatena entro le labbia il canto.
Ai fulmini di sdegno,
Che Bellona saetta
Fatta è misera Italia infausto segno.
Il Ciel, che lento a penitenza aspetta,
Or sol de’ falli altrui chiede vendetta.

Ma d’empio Marte e rio,
Che disciolte sue furie inonda i campi,
Non movon guerra, o Clio,
Al mio novo desir fulminei lampi.
A magnanime imprese
Volge l’armi e i consigli
Cinto de’ suoi guerrieri il Re francese:
Lascia la Senna e passa entro i perigli
A fecondar col sangue i propri gigli.

Gemean l’Alpi gelate
D’aspro Aquilon sotto nevoso incarco;
Quando falangi armate
Per sentiero di giel s’apriro il varco:
Allor su neve algente
Corse da fibre vote
Caldo a porporeggiar sangue innocente.
Ai lampi, a lo splendor d’aste remote
Stupida Italia impallidì le gote.

Ecco d’Adria la figlia
Che stretta quinci al Re de’ Galli in lega;
Erge armata le ciglia
E suoi chiari vessilli al vento spiega.
Al tonar de’ metalli,
De le vittorie al grido,
S’udir da lunge risonar le valli:
E tentò su la Schelda oltre il suo nido
Spiegar novi trionfi il Belga infido.

Quindi sorge dal suolo
Di cento luci e cento lingue armata
E già dispiega il volo
Per l’aperto del Ciel la fama alata.
Passa i Liguri e varca,
Dove in trono regale
Riveriscon due mondi un sol monarca.
Ei l’accolse, l’udì turbato e l’ale
Fiero disciole a l’ira sua mortale.

Non sia tua cura, o Diva
Ridir cantando altrui squadre pugnaci
Non fu lontana riva,
Che non turbasse allor le proprie paci.
In guerriero teatro,
A più bell’opre intento
Splende ferro mortal di rozzo aratro:
Nel mar scendon le selve e in un momento
Ecco vien meno a tante vele il vento.

L’inclito augel sovrano,
Cui diede l’Istro ognor vittorie nove,
Arma l’augusta mano
Di folgore temuto al suo gran Giove.
Ei con rigide voglie
A la man vincitrice
Sovra fronti regali il fren discioglie;
E dove scote il giogo aspra cervice
Tuona sdegnata la sua destra ultrice.

Vider stupidi i Reti
D’ogn’intorno inondar squadre guerriere
E su campi inquieti
Nitrir cavalli e tremolar bandiere:
A la fervida sete,
Onde arser petti egregi,
Chiedeste, o fiumi, acque profonde e chete.
Ma che; s’a lo splendor profonde sol de suoi fregi
Temono i duci e stan pensosi i regi?

Qui di Pindo le piume
Ergan veloci in Flegra il mio pensiero:
Ch’invano sorse presume
Giungere a sì bel segno ignoto arciero.
Non così fiera in vista
Tonar su turba rea
Aquila generosa allor fu vista.
Ma dove, dove al suon de l’armi, o Dea,
Porta sì lunge i carmi aura febea?

S’armino a danni loro
Con nemico furor l’Indo e l’Occaso:
Ch’intrecciato d’alloro
Non paventa i lor colpi il mio Parnaso,
Di glorioso scettro,
L’ire ardenti non cura
Sotto povero Ciel rustico plettro:
Fulmin, ch’irato uscì da nube oscura;
Contra monti più grandi arde e congiura.

Arte s’adopri e sudi;
Perch’a stuolo nemico arresti i passi
E con leggiadri studi
Erga in moli guerriere orridi sassi.
Fonda bronzi tonanti:
Che ne desir più inferma
Teme folle in se stessa i suoi sembianti.
Nel sen d’un antro in chiusa valle e erma
S’apre a le voglie mie pace più ferma.

Se di fosco pallore
Temuta eclisse al sol benda la faccia;
Con gelato terrore
Al seren del mio cor già non minaccia.
Senz’atra nube o velo
A carattere eterno
Legga chi vuol le sue fortune in Cielo:
Io di me stesso al variare alterno
D’esser fragil fattura appien discerno.

Per gli eterei Zaffiri
Diede lingua immortal moto a le stelle,
E ne’ perpetui giri
Queste son del Fattor divote ancelle.
Con regolati errori,
Or si miran da lunge,
Et or rotan vicine aurei splendori:
Ne desio d’altrui doglia il sen lor punge.
Ira o sdegno fatal lassù non giunge.

S’entro bosco frondoso
In un stringon due piante e rami e fronde
Non han chi curioso
Sveli quanto natura ivi nasconde:
Ma se stella serena,
Ch’in sé vita non cela,
Co’ raggi altrui si stringe o s’incatena
O come altri si lagna e si querela!
O quai fieri portenti altrui rivela!

Torbida mente umana
Ne le miserie tua madre d’affanni,
Come si stolta e vana
Mentre lusinghi altrui, te stessa inganni!
A turbar del mio seno
Dolce pace soave
Con sue forze non entri il tuo veleno!
Che, lasso, troppo orrida peste e grave
Con gelato timor l’anima pave.

Fiero Gigante Etneo
Fatichi i bronzi e in sudor si stempre:
Che riportar trofeo
In van speran di lei Sicanie tempre.
De le torri più forti
Le dure pietre alpine
Questa cieca penetra e sparge morti.
Geme con duol mortale ermo confine:
Non han meta terrena armi divine.

E chi pon freno al Fato?
Cadono estinti in un fanciulli e vegli;
E di sua prole a lato
Misero genitor languisce anch’egli.
Face, che viva splende
In marital soggiorno,
Con augurio infelice il rogo accende.
Non han leggi le morti; etra d’intorno
Forza letale e toglie i raggi al giorno.

Non di marmi Sicani
Erge tomba superba arte funesta:
Ma ne’ deserti piani
A cadaveri altrui le fiamme appresta.
Strugge le membra il foco,
Che ne campi di morte
Fatte sono dei venti infausto gioco,
Ma che miri superbo? ancor più corte
L’ore de’ tuoi trionfi apre la sorte.

Country

Italy

Language

Italian

Shelfmark

I-Rv - Roma - Biblioteca Vallicelliana
collection Borromini
shelfmark S. Borr. Q.IV.223.5

Record by Nadia Amendola
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