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Ch’io da te mi divida
Con partenza omicida
M’impone o caro bene,
Ira di cielo, avversità di fato,
E ‘l Nume faretrato
Vuol, ch’io strascini al piè le mie catene;
Poiché quel forte laccio adamantino,
Con cui teco mi avvinse
Indissolubilmente il Dio bambino,
Di recider giammai non ha possanza
Tempo, caso, fortuna o lontananza.
Ecco intanto, che giugne
L’ora fatale in cui partir degg’io,
E in proferir quel doloroso addio,
Che da te mi disgiugne,
Corre su’l labro il core e afflitto esclama,
Ch’è un immenso martir lasciar chi s’ama.
È una pena, che non pare,
Ma è maggior d’ogni altra pena
L’andar lunge e non mirare
Di beltà vaga e serena
L’adorabili pupille;
Questa è una pena (oh Dio) che val per mille.
È un dolor, che non si crede,
Mà è piu fier d’ogni dolore
Il portar lontano il piede
Da quel sol, che apporta al core
Nel partire, un duol mortale;
Quest’è un dolor, ch’ogni dolor prevale.
Ma bench’io volga ad altro suol le piante,
Eterno adoratore
Sarà sempre il mio core
Del tuo caro sembiante;
E se non sia concesso agli occhi miei
Bear lo sguardo lor nel tuo bel viso,
Nel contemplar da lunge i lumi tuoi
Sarà sempre il pensiero intento e fiso;
Poiché l’affetto mio,
C’ha la fede per base,
E a una salda costanza è unito insieme,
Di lontananza ria l’onte non teme;
Sol paventar degg’io,
Mentre lungi da te rivolgo il piede,
Che la giurata fede
Nel tuo cor non vacilli;
Che tosto a risanar piccola piaga,
Che con leggera offesa il cor molesta,
Facil rimedio lontananza appresta.
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shelfmark ARCA VII 24.87
Record by Nadia Amendola