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Ve la dono quella beltà,
Che si nutre sol di rigore,
È nemica d’un cor, che more
Arma il seno di crudeltà.
Ve la dono quella beltà.
D’un bel rivo
Fuggitivo
Mira Tantalo gli argenti;
Ma se rapide quell’onde,
Le sue labra sitibonde
Rendon’aride e languenti,
Con ragion quel rio fugace,
A suoi prieghi contumace,
Rio si noma per lui se nol consola,
Che quanto più lo segue, ei più s’invola.
Per due luci al Sole eguali
Sembran belle a chi le mira;
Ma se negan disleali
Dolce aita a chi sospira;
Di rubelle,
E non di belle
Merita il nome rio lor ferità.
Ve la dono quella Beltà, ecc.
Che val, che Mida avaro
Del metallo adorato
Tra l’auree masse di ricchezza abbondì,
E ch’ubbidisca a le sue brame il fato;
Se poi di sue rovine ingordo fabro
Quell’oro, ch’egli scorge
Al famelico labro
Esca vital non porge?
Ond’altro alfin per lui non è quell’oro,
Che inutile ricchezza e van tesoro.
Pur la perfida, ch’am’io
Che sia bella a me non giova,
Se pietà da lei non trova
Il mio duol, l’affanno mio;
Onde il cor, la sua bellezza
Giusto è ben s’odia e disprezza;
Che vittime non offre a l’impietà.
Ve la dono quella beltà,
Che si nutre sol di rigore,
E nemica d’un cor, che more
Arma il seno di crudeltà.
Ve la dono quella beltà.
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shelfmark ARCA VII 24.79
Record by Nadia Amendola