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In un pelago d’affanni
Fluttuava un fido core,
Combattuto dal rigore
D’astri perfidi e tiranni;
Che infieriti a suoi gran danni,
Con partenza acerba e mesta
Del suo bene amato e caro,
Dispietati gli arrecàro
Di sventure atra tempesta;
Onde all’or, che il suo partire
Apprestava il bel Fileno,
Un fierissimo martire
Ratto corse a Filli in seno;
Preda alfin di un duolo atroce
Sprigionò dal cor la voce,
E con note sì dolenti
Fe’ loquaci i suoi tormenti.
Ch’io respiri, ch’io viva,
Com’esser può giammai
Se de’ tuoi vaghi rai
Con partenza funesta il ciel mi priva?
Se tu de l’alma mia l’anima sei,
E da te mi divide
Berbara ferità di stelle infide,
Pianger l’estremo fin de’ giorni miei
Ben’io deggio infelice:
Poiché viver senz’alma altrui non lice.
Le meditate pene,
Che nel mio cor pargoleggaro infanti
Quando il pensier volgevi a estranie arene,
Ora dal tuo partir rese giganti,
Con ardire orgoglioso
Fanno guerra crudele al mio riposo.
Ma per render più soffribile
Quel dolor, che mi disanima,
Salda fè chiudi ne l’anima
Con ardore inestinguibile.
Tua costanza ognior sia stabile;
Che albergare in petto nobile
Mai non deve e cor mutabile:
Da me poi lungi pur va
Dove più ti aggrada e piace,
Che di te fida seguace
L’alma mia sempre sarà;
E se inabile virtù
Per seguirti, avrà il mio core,
Rapirà l’ali ad amore
Per volar dove sei tu;
E su le penne di quel Dio, ch’è cieco,
Correrà l’alma afflitta a unirsi teco.
Ci porta lungi il piede,
Se giura eterna fede,
E promette in partir ferma costanza,
Fa men grave il dolor di lontananza.
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shelfmark ARCA VII 24.30
Record by Nadia Amendola