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Ne le speranze mie son sì superbo
Che d’ammollir presumo un cor di pietra,
Ne il timore mi arretra;
Poiché l’ardir, che nel mio petto io serbo
Rider mi fa dell’ira sua terribile.
Il seguace son’io dell’impossibile.
Un affanno, anche il più crudo,
Non mi atterra, o mi disanima,
Ch’io nel sen giammai non chiudo
Una fe’ sì pusillanima.
Là i più prodi e in guerra esperti
Coraggiosi i passi movono
Dove i rischi son più certi,
Dove a mille i dardi piovono.
Così al cor costante e forte
I perigli sono glorie,
E si ride della morte
Mentre aspira a le vittorie;
Onde in pugna così dura
Guerreggiando col rigore
Offre a me palma sicura
La speranza, del mio core
Fida amica indivisibile
Il seguace son’io dell’impossibile.
Più intrepido amatore
Di me non vide mai l’arciero alato,
che mentre ardo d’amore
per giugnere ove alberga il sole amato.
L’orme ancor stamperei
Ne’ lidi Acherontei;
Né mi spaventerebbe il fiero aspetto
Di Megera o d’Aletto,
E roterebbe invano il dente acuto
Per divorarmi il Cerbero latrante,
Che con mano arrogante
Proserpina torrei di braccio a Pluto.
Son gli Alcidi e gli Orfei
Ne le scuole d’amore
I precettori miei,
E insegnano al mio core,
Che temer non si deve;
E per fruir del sospirato bene
Dicon, ch’è impresa lieve
Scorrer gli abissi e calpestar le arene
De la Reggia d’Averno atra ed orribile.
Il seguace son’io dell’impossibile.
Ne le torri più munite
Senz’aver d’oro il sembiante,
Da la Danae custodite
Penetrar farei bastante.
Un core ardito
Maggiori prove
Sa far di Giove
Quando è ferito.
Per goder gioia suprema
Dure imprese un’alma tenti;
Speri, ardisca e nulla tema;
Che per giugnere a i contenti
È l’ardir scorta infallibile.
Il seguace son’io dell’impossibile.
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shelfmark ARCA VII 24.16
Record by Nadia Amendola