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La serenata apparteneva alla collezione di Giuseppe Sigismondo, acquisita dalla Biblioteca alla sua morte.
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Vieni e siegui i miei passi
Risolver non osa
Giusta è la tua richiesta a parte a parte
Lieve sono al par del vento
Dunque ove son? La reggia
Ciglio che al sol si gira
E quali abitatori? Assai chiedesti
Germe di cento Eroi
Numi. È vero, o m’inganno? Il mio grand’avo
Se vuoi che te raccolgano
Se qui vivon gl’Eroi. Se paga ancora
Voi colà giù ridete
Publio, padre, ah lasciate
Quercia annosa su l’erte pendici
Già che al voler de fati
A chi serena io miro
E a sì enorme possanza
Biancheggia in mar lo scoglio
Non più. Bella Costanza
Dì, che sei l’arbitra
E v’è mortal che ardisca
Non è Scipio, oh Signore. Ah chi potrebbe
Ah perché cercar degg’io
Cento volte con lieto sembiante
Poetical text transcription
[Fortuna]
Vieni e siegui i miei passi
O gran figlio d’Emilio. [Costanza] I passi miei
Vieni e siegui, oh Scipion. [Scipione] Chi è mai l’audace,
Che turba il mio riposo? [Fortuna] Io son. [Costanza] Son io
E sdegnar non ti dei.
[Fortuna]
Volgiti a me, [Costanza] Guardami in volto. [Scipione] Oh Dei?
Quale abisso di luce,
Quale ignota armonia? Quali sembianze
Son queste mai sì luminose e liete?
E in qual parte mi trovo, e voi chi siete?
[Costanza]
Nudrice degli Eroi, [Fortuna] Dispensatrice
Di tutto il ben che l’universo aduna,
[Costanza]
Scipio io son Costanza, [Fortuna] Io la Fortuna.
[Scipione]
E da me che si vuol? [Costanza] Ch’una fra noi
Nel cammin della vita
Tu per compagna elegga. [Fortuna] Entrambe offriamo
Di renderti felice.
[Costanza]
E decider tu dei
Se a me più credi o se più credi a lei.
[Scipione]
Io? Ma Dee… che dirò? [Fortuna] Dubiti? [Costanza] Incerto
Un momento esser puoi, [Fortuna] Ti porgo il crine
E a me non t’abbandoni? [Costanza] Odi il mio nome
Né vieni a me? [Fortuna] Parla [Costanza] Risolvi. [Scipione] E come?
Se volete ch’io parli
Se risolver degg’io lasciate all’alma
Tempo di respirar, spazio onde possa
Riconoscer se stessa.
Ditemi dove son, chi qua mi trasse,
Se vero è quel ch’io veggio
Se sogno, se son desto o se vaneggio.
[Scipione]
Risolver non osa
Confusa la mente
Se oppressa si sente
Da tanto stupor.
Delira dubbiosa
Incerta vaneggia
Ogn’alma che ondeggia
Fra’ moti del cor.
[Costanza]
Giusta è la tua richiesta a parte a parte
Chiedi pure e saprai
Quanto brami saper. [Fortuna] Sì, ma sian brevi
Scipio le tue richieste, intollerante
Di riposo son io; loco ed aspetto
Andar sempre cangiando a mio diletto.
[Fortuna]
Lieve sono al par del vento,
Vario ho il volto, il piè fugace,
Or mi adiro e in un momento
Or mi torno a serenar.
Sollevar le moli oppresse
Pria m’alletta e poi mi piace
D’atterrar le moli istesse
Che ho sudato a sollevar.
[Scipione]
Dunque ove son? La reggia
Di Masinissa, ove poc’anzi i lumi
Al sonno abbandonai
Certo questa non è. [Costanza] No, lungi assai
È l’Africa da noi, sei nell’immenso
Tempio del Ciel. [Fortuna] Non lo conosci a tante
Che ti splendono intorno
Lucidissime stelle? A quel che ascolti
Insolito concento,
Delle mobili sfere? A quel vedi
Di lucido zaffiro
Orbe maggior che la rapisce in giro?
[Scipione]
E chi mai tra le sfere, oh Dee, produce
Un contento sì armonico e sonoro?
[Costanza]
L’istessa ch’è fra loro
Di moto e di misura
Proporzionata ineguaglianza. Insieme
Urtansi nel girar, rende ciascuna
Suon dell’altre distinto
E si forma di tutte un suon concorde;
Varie così le corde
Son d’una cetra e pur ne tempra in guisa
E l’orecchio e la man l’acuto e ‘l grave
Che dan percosse un’armonia soave.
Questo mirabil nodo
Che gl’ineguali unisce,
Questa ragione arcana
Che i dissimili accorda
Proporzion s’appella, ordine e norma
Universal delle create cose.
Questa è quel che nascose
D’alto saper misterioso raggio
Entro i numeri suoi di Samo il saggio.
[Scipione]
Ma un armonia sì grande
Come non giunge a noi? Perché non l’ode
Chi vive là nella terrestre sede?
[Costanza]
Troppo il poter de vostri sensi eccede.
[Costanza]
Ciglio che al sol si gira
Non vede il sol che mira
Confuso in quell’istesso
Eccesso di splendor.
Chi là dal Nil cadente
Vivo alle sponde appresso
Lo strepito non sente
Del ruinoso umor.
[Scipione]
E quali abitatori? [Fortuna] Assai chiedesti
Eleggi alfin. [Scipione] Soffri un istante e quali
Abitatori han queste sedie eterne?
[Costanza]
Ne han molti e vari in varie parti [Scipione] In questa
Ove noi siam chi si raccoglie mai?
[Fortuna]
Guarda sol chi s’appressa e lo saprai.
[Coro di Eroi]
Germe di cento Eroi
Di Roma onor primiero
Vieni, che in Ciel straniero
Il nome tuo non è.
Mille trovar tu puoi
Orme degli avi tuoi
Nel lucido sentiero
Ove inoltrasti il piè.
[Scipione]
Numi! È vero, o m’inganno? Il mio grand’avo
Il domator dell’African rubello
Queli non è? [Publio] Non dubitar, son quello.
[Scipione]
Gelo d’orror! Dunque gl’estinti [Publio] Estinto
Scipio, io non son [Scipione] Ma in cenere disciolto
Tra le funebri faci
Gran tempo è già Roma ti pianse. [Publio] Ah taci
Poco sei noto a te. Dunque tu credi
Che quella man, quel volto,
Quelle fragili membra onde vai cinto
Siano Scipione? Ah non è ver, son queste
Solo una veste tua;
Quel che le avviva
Puro raggio immortal che non ha parti
E scioglier non si può, che vuol, che intende,
Che rammenta, che pensa,
Che non perde con gli anni il suo vigore
Quello, quello è Scipione e quel non muore.
Troppo iniquo il destino
Saria della virtù s’oltre la tomba
Nulla di noi restasse, e s’altri beni
Non vi fosser di quei
Che in terra per lo più toccano a’ rei.
No, Scipio la perfetta
D’ogni cagion prima cagione ingiusta
Esser così non può. V’è dopo il rogo
V’è mercé da sperar. Queste che vedi
Lucide eterne sedi
Serbansi al merto e la più bella è questa
In cui vive con me qualunque in terra
La Patria amò, qualunque offrì pietoso
Al pubblico riposo i giorni suoi
Chi sparse il sangue a beneficio altrui.
[Publio]
Se vuoi che te raccolgano
Questi soggiorni un dì
Degli avi tuoi rammentati
Non ti scordar di me.
Ma non cessò di vivere
Chi come noi morì,
Non meritò di nascere
Chi vive sol per sé.
[Scipione]
Se qui vivon gl’Eroi… [Fortuna] Se paga ancora
La tua brama non è, Scipio, è già stanca
La tollerenza mia. Decidi. [Costanza] E lascia
Ch’ei chieda a voglia sua. Ciò ch’egli apprende
Atto lo rende a giudicar fra noi.
[Scipione]
Se qui vivon gl’Eroi
Che alla patria giovar tra queste sedi
Perché non miro il genitor guerriero?
[Publio]
L’hai su gli occhi e nol vedi? [Scipione] È vero, è vero
Perdona errai gran genitor, ma colpa
Delle attonite ciglia
È il mio tardo veder, non della mente
Che l’immagine tua sempre ha presente.
Ah sei tu, già ritrovo
L’antica in quella fronte
Paterna maestà, già nel mirarti
Risento i moti al core,
Di rispetto e d’amore. Oh fausti Numi!
Oh caro Padre! Oh lieto dì! Ma come
Sì tranquillo m’accogli? Il tuo sembiante
Sereno è ben ma non commosso. Ah dunque
Non provi in rivedermi
Contento eguale al mio? [Publio] Figlio il contento
Fra noi serba nel cielo altro tenore
Qui non giunge all’affanno ed è maggiore.
[Scipione]
Son fuor di me. Tutto qua su m’è nuovom
Tutto stupir mi fa. [Emilio] Depor non puoi
Le false dee che ti formasti in terra
E ne stai sì lontano. Abbassa il ciglio
Vedi là giù d’impure nebbie avvolto
Quel piccol globo, anzi quel punto? [Scipione] Oh stelle
È la terra? [Emilio] Il dicesti [Scipione] E tanti mari
E tanti fiumi, e tante selve, e tante
Vastissime province, opposti regni,
Popoli differenti? E il Tebro, e Roma?
[Emilio]
Tutto è chiuso in quel punto [Scipione] Ah padre amato
Che piccolo, che vano
Che misero teatro ha il fasto umano.
[Emilio]
Oh se di quel teatro
Potessi o figlio esaminar gl’attori;
Se le follie, gli errori
I sogni lor veder potessi e quale
Di riso per lo più degna cagione
Gli agita, gli scompone,
Gli rallegra, gli affligge e gl’innamora,
Quanto più vil ti sembrarebbe ancora.
[Emilio]
Voi colà giù ridete
D’un fanciullin che piange
Che la cagion vedete
Del folle suo dolor.
Quassù di voi si ride
Che dell’età sul fine
Tutti canuti il crine
Siete fanciulli ancor.
[Scipione]
Publio, padre, ah lasciate
Ch’io rimanga con voi. Lieto abbandono
Quel soggiorno là giù troppo infelice
[Fortuna]
Ancor non è permesso. [Costanza] Ancor non lice.
[Publio]
Molto a viverti resta. [Scipione] Io vissi assai
Basta, basta per me. [Emilio] Sì, ma non basta
A’ disegni del fato, al ben di Roma,
Al mondo, al ciel. [Publio] Molto facesti e molto
Di più si vuol da te. Senza mistero
Non vai, Scipione altero
E degli aviti e de’ paterni allori
I gloriosi tuoi primi sudori
Per le campagne Ibere
A caso non spargesti, e non a caso
Porti quel nome in fronte
Che all’Africa è fatale. A me fu dato
Il soggiogar sì gran nemica e tocca
Il distruggerla a te. Và, ma prepara
Non meno alle sventure
Che a’ trionfi il tuo petto, in ogni sorte
L’istessa è la virtù. L’agita è vero
Il nemico destin ma non l’opprime
E quando è men felice è più sublime.
[Publio]
Quercia annosa su l’erte pendici
Fra ‘l contrasto de’ venti nemici
Più sicura, più salda si fa.
Che se il verno le chioma le sfronda
Più nel suolo col piè si profonda
Forza acquista se perde beltà.
[Scipione]
Già che al voler de fati
L’opporsi è vano ubbidirò. [Costanza] Scipione
Or di scegliere è tempo [Fortuna] Istrutto or sei
Puoi giudicar fra noi. [Scipione] Publio si vuole
Ch’una di queste Dee... [Publio] Tutto mi è noto,
Eleggi a voglia tua. [Scipione] Deh mi consiglia
Gran genitor. [Emilio] Ti usurparebbe, oh figlio,
La gloria della scelta, il mio consiglio.
[Fortuna]
Se brami esser felice
Scipio, non mi stancar, prendi il momento
In cui t’offro il mio crin. [Scipione] Ma tu che tanto
Importuna mi sei di qual ragione
Tuo seguace mi vuol? Perché degg’io
Sceglier più te, che l’altra? [Fortuna] E che farai
S’io non secondo amica
L’imprese tue? Sai quel ch’io posso, io sono
D’ogni mal, d’ogni bene
L’arbitra colà giù, questa è la mano
Che sparge a suo talento e gioie e pene,
Ed oltraggio ed onori
E miserie, e tesori. Io son colei
Che fabbrica, che strugge,
Che rinnova gl’Imperi; io se mi piace
In soglio una capanna, io quando voglio,
Cangio in capanna un soglio.
A me soggetti
Sono i turbini in cielo,
Son le tempeste in mar, delle battaglie
Io regolo il destin. Se fausta io sono
Dalle perdite istesse
Fò germogliar le palme, e s’io m’adiro
Svelgo di man gli allori
Sul compir la vittoria a’ vincitori
Che più? Dal regno mio
Non va esente il valore,
Non la virtù che quando vuol la sorte
Sembra forte il più vil, vile il più forte,
E a dispetto d’Astrea
La colpa è giusta, e l’innocenza è rea.
[Fortuna]
A chi serena io miro
Chiaro è di notte il cielo,
Torna per lui nel gelo
La terra a germogliar.
Ma se a taluno io giro
Torbido il guardo e fosco
Fronde gli niega il bosco,
Onde non trova in mar.
[Scipione]
E a sì enorme possanza
Chi s’opponga non v’è? [Costanza] Sì, la Costanza.
Io Scipio, io sol prescrivo
Limiti e leggi al suo temuto Impero,
Dove son io non giunge
L’istabili a regnar, che in faccia mia
Non han luce i suoi doni
Né orror le sue minacce. È ver che oltraggio
Soffron color da lei
Il valor, la virtù ma le bell’opre
Vindice de’ miei torti il tempo scopre.
Son io, non è costei
Che conserva gl’Imperi e gli avi tuoi,
La tua Roma lo sa. Crolla ristretta
Da Brenno è ver, la libertà latina
Nell’angusto Tarpeo ma non ruina.
Dell’Ausido alle sponde
Si vede, è ver, miseramente intorno
Tutta perir la gioventù guerriera
Il Console roman, ma no dispera.
Annibale s’affretta
Di Roma ad ottener l’ultimo vanto
E co’ vessilli suoi quasi l’adombra
Ma trova in Roma intanto
Prezzo il terren che il vincitore ingombra.
Son mie prove sì belle e a queste prove
Non resiste Fortuna, ella si stanca
E alfin cangiando aspetto
Mia suddita diventa a suo dispetto.
[Costanza]
Biancheggia in mar lo scoglio
Par che vacilli e pare
Che lo sommerga il mare
Fatto maggior di sé.
Ma dura a tanto orgoglio
Quel combattuto sasso
Ma il mar tranquillo e basso
Poi li lambisce il piè.
[Scipione]
Non più. Bella Costanza
Guidami dove vuoi, d’altri non curo
Eccomi tuo seguace. [Fortuna] E i doni miei?
[Scipione]
Non bramo e non ricuso. [Fortuna] E il mio furore?
[Scipione]
Non cerco e non pavento. [Fortuna] Invan potresti
Scipio pentirti un dì. Guardami in viso,
Pensaci e poi decidi. [Scipione] Ho già deciso.
[Scipione]
Dì, che sei l’arbitra
Del mondo intero
Ma non pretendere
Perciò l’Impero
D’un alma intrepida,
D’un nobil cor.
Te vili adorino,
Nume tiranno,
Quei che non prezzano
Quei che non hanno
Che il basso merito
Del tuo favor.
[Fortuna]
E v’è mortal che ardisca
Negarmi i voti suoi? Che il favor mio
Non procuri ottener? [Scipione] Sì, vi son io.
[Fortuna]
E ben, provami avversa, olà venite
Orribili disastri, atre sventure,
Ministre del mio sdegno,
Quel audace opprimete: io ve ‘l consegno.
[Scipione]
Stelle? Che fia, qual sanguinosa luce.
Che nembi, che tempeste
Che tenebre son queste? Ah qual rimbomba
Per le sconvolte sfere
Terribile fragor, cento saette
Mi strinscian fra le chiome e par che tutto
Vada sossopra il ciel. No, non pavento
Empia Fortuna invan minacci, invano
Perfida ingiusta Dea. Ma? Chi mi scuote?
Con chi parlo? Ove son? Di Masinissa
Questo è pure il soggiorno e Publio e il padre,
E gli astri, e il ciel tutto sparì. Fu sogno
Tutto ciò ch’io mirai? No, la Costanza
Sogno non fu, meco rimase, io sento
Il Nume suo che mi riempie il petto.
V’intendo amici dei, l’augurio accetto.
[Scipione]
Non è Scipio, oh Signore (ah chi potrebbe
Mentir dinanzi a te?) Non è l’oggetto
Scipio de versi miei, di te ragiono
Quando parlo di lui. Quel nome illustre
È un vel di cui si copre
Il rispettoso mio giusto timore
Ma Scipio esalta il labbro e Carlo il core.
Ah perché cercar degg’io
Fra gli avanzi dell’oblio
Ciò che in te ne dona il ciel.
Di virtù chi prove chiede
L’ode in quegli, in te le vede
E l’orecchio ogn’or del guardo
È più tardo e men fedel.
[Coro]
Cento volte con lieto sembiante
Grand’Augusto dell’onde marine
Torni l’alba d’un dì sì seren.
E rispetti la Diva incostante
Quella fronda che porti sul crine
D’alma grande che chiudi nel sen.
Country
Language
Shelfmark
shelfmark Cantate 351 (=21.3.4)
Record by Giulia Giovani