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Taci, Eurilla, deh taci, oh come, oh quanto
È difetto della fede
Non mi chiamar crudele
Fatto il colpo fu visto, che amore
All’or gettò la benda
Quando fu, che si piangea
A te restò del Dio d’amor la benda
Poetical text transcription
Taci, Eurilla, deh taci, oh come, oh quanto
Col dubitar del amor mio m’offendi,
Se il mormorio di quel ruscello intendi,
Saprai, che l’acque sue sono mio pianto.
Mira e vedrai sotto quell’acque i sassi,
Che schieggie son di questo cor spezzato
Dalli fulmini, oh Dio, de tuoi bell’occhi.
Quanto vedi et ascolti
E il caldo venticel, che tu respiri,
Son mie piaghe, mio pianto e miei sospiri.
È difetto della fede,
Se un amor, che poi si vede,
Per amor non vien creduto.
E se un cor non è spietato,
Il chiamarlo infido, ingrato
Argomento è di rifiuto.
Non mi chiamar crudele,
Che mai non fu senza pietà Fileno,
Solo il cor mio senza pietà mi vide,
Quando per te, ch’all’amor mio non credi,
Me lo svelsi dal petto e a te lo diedi.
Sai pur, se il primo io fui
A palesarti, ò Eurilla,
Quel, che star non potea più chiuso foco,
Ti mostrai la profonda alta ferita,
Alta così, che quando il cor m’aprio,
Vi perdè la saetta il cieco Dio.
Fatto il colpo fu visto, che amore
Per ritoglier suo dardo sen venne.
Ma non l’hebbe, che tutto nel core
S’era immerso già sino alle penne.
All’or gettò la benda
Per veder la gran piaga
E la trovò si grande il nume cieco,
Che per pietà si mise a pianger meco.
Quando fu, che si piangea,
Mi parlava ogni pupilla.
E dolente mi dicea:
Qui si piange per Eurilla.
A te restò del Dio d’amor la benda,
Bendasti i lumi tuoi, più non ci vedi
E questa è la cagion, che non mi credi.
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shelfmark A.7b.42 (A.1.20).1
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