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Not recorded
Notes
La cantata risale al 1697 quando fu composta per il passaggio di papa Innocenzo XII a Nettuno. Il testo è di Giovanni Battista Grappelli che lo pubblicò nello stesso anno nelle sue Rime, Roma, Antonio de Rossi, 1697, pp. 214-216. Il testo stampato ha alcune varianti, qui messe in parentesi. È intestato: "S’introduce un Disgratiato a lamentarsi della Fortuna. Parole per Musica." La cantata è per Soprano e basso continuo, ma contiene un’aria con violino e violoncello che possono, secondo la premessa di Gaffi, essere suonate anche dal cembalo.
Uniform title
Scoring
Bibliographic repertories
Bibliography
Analytical description
Là dove Anzio vetusto al Mar si specchia
Così mesto narravo
Sino à quando ho da soffrire
Chi risplende in aureo soglio
Io sol negletto, e vile
Venticelli ed aurette d'intorno
Mà quanto human desio, quanto s'inganna
Così và, chi mal saggio si fida
Ah, che mortal grandezza
Poetical text transcription
Là dove Anzio vetusto al Mar si specchia,
Da gravi cure amaramente opresso,
Odioso à me stesso
[Sovra il deserto lido]
Un giorno io mi giacea
E con pianti e sospiri
All’arene, alle scogli [alle spiaggie], all’onde, à i venti
Così mesto narravo i miei tormenti:
Sino à quando ho da soffrire,
Ria fortuna, il tuo rigor?
Del mio fato
Ostinato
Non han dunque i sdegni e l’ire
Altr’oggetto ch’il mio cor?
Chi risplende in aureo soglio,
Chi trionfa in festa, e gioco
Trà ricchezze,
Trà grandezze
Ed io solo al mio cordoglio
Mai [Non] havrò pace, ne loco.
Io sol negletto, e vile
Fra [Trà] miserie, e trà stenti
Meno del viver mio l’ore e i momenti.
Così io dicea, quand’ecco
Da cento remi, e cento
Ben corredata Nave
Solcare à vele gonfie il salso argento
Gravido il seno aver d’oro, e d’argento [e di gemme]
E di quanto s’asconde
Nell’Indiche maremme,
E insuperbia fin [sin] da gl’estremi segni
Pellegrine condur Provincie e Regni. [Di condur vagabonde, e pellegrine
D’Ormus, di China, e le provincie, e i Regni.]
Venticelli ed aurette d’intorno,
Lusinghiere corteggiano il Pino,
Ride il cielo, sereno ed adorno,
Quieto [Queto] il mar gli seconda il camino.
Mà quanto human desio, quanto s’inganna!
Sen’ fugge [Turbasi] all’improvviso
Del mar la calma e del sereno il riso,
Dall’Eolia prigione
Con mille furie alate
Scatenato Aquilone
La Terra, il Cielo, il Mar pone in scompiglio
E il misero [E’l naufrago] Naviglio,
Quando credea di riposar nel porto,
Restar vegg’io miseramente assorto [absorto].
Così và, chi mal saggio si fida
Di calma omicida,
Che nel meglio tradisce il desir.
Alma forte, ch’hà gl’astri severi
Nò, nò, non disperi,
Ch’alle pene succede il gioir.
Ah, che mortal grandezza
Quanto più stabil sembra è men sicura,
Sen fugge il bene e sempre il mal non dura.
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