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All'hor ch'il Dio di Delo
Di nobile Dea
Così di sua vaghezza
Non ti rammenti, ò Flora
Dunque della Republica de fiori
D'un bel fior pianta vezzosa
Poetical text transcription
All’hor ch’il Dio di Delo
Con piè giocondo e temperato dardo
Sciogliea de’ pigri fiumi il ceppo algente,
Flora lieta e ridente
Su verde cespo assisa
Per bilanciare i pregi
Della plebe odorosa
Un giorno si compiacque,
Che favellasse il Giglio e poi la Rosa.
Questi,
Pallidetto e gentile,
Iride della terra,
Vago sole d’aprile,
Dalle labra innocenti,
Humidette di brine,
Così disciolse i cari e dolci accenti:
Di nobile Dea
Son candido figlio,
Se nome di Giglio
E vita mi diè.
S’io serbo l’idea
Del regio suo latte,
Fra l’herbe più intatte
Son florido rè.
Così di sua vaghezza
Il figlio di Giunone
Sovra il natio candor fastoso ergea
La Reale grandezza,
Quando la bella Rosa,
La porpora de Prati,
La Fenice de fiori,
L’occhio di Primavera
Più vermiglia ed altera,
Di nuove spine armata in sua difesa
Alla Dea favellò d’ardore accesa:
Non ti rammenti, ò Flora
Che Venere vezzosa
D’amor madre amorosa
Col sangue mi formò.
Sai pur, che in ciel l’Aurora
Per infiammar le fasce
Del vago sol, che nasce,
Tutta mi distemprò.
Dunque della Republica de fiori
E delle vaghe piante,
Che sono pur della natura amante
Care parti d’amore,
Io, che sono d’amor figlia bambina,
De vegetanti esser dovrò Regina.
Flora volgendo all’hora
All’uno e all’altra il maestoso ciglio
Pronunziò, che nel Prato
Sia Regina, sia Rè la Rosa e il Giglio.
D’un bel fior pianta vezzosa
Più del Giglio e della Rosa
Non fù mai, ne mai sarà.
È sì caro il grato odore,
È sì vago il bel candore,
Che più bello non si dà.
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