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Notes
La cantata è stata copiata per il Cardinale Pietro Ottoboni nel 1691 e 1692.
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Scoring
Bibliographic repertories
Bibliography
Analytical description
[D]oppo haver pianto e sospirato in vano
Ad un alma innamorata
Ivi da un forte ohimè
Veder non ti voglio
Scendea la rupe intanto
Che lusinga è mai d'un core
Mentre il povero amante
Se frà i Numi non v’è la pietà
Mostri dell'arsa Dite
Furie torbide, imagini pallide
Sorrise il Re de pianti
Poetical text transcription
[D]oppo haver pianto e sospirato in vano
Per una cruda e bella
Un Amante infelice
Spinto un giorno da suoi ciechi desiri
Sovra incolta pendice
L’aura infettar volea cò suoi sospiri:
Ad un alma innamorata,
Ch’esalar voglia la pena,
Ogni larva è troppo amata,
Ogni balza è troppo amena.
Ivi da un forte ohimè,
Che vomitò dal cor Silvio dolente,
Divennero quei sassi
Pietre di paragon della sua fè.
Agitato, impatiente
Scoteva il suol, quando moveva i passi.
Al fin s’assise e poscia
Mirando il ciel, che gl’era assai vicino,
Gli rammento l’angoscia,
Che in quegl’orbi regnava il suo destino.
Girò lo sguardo horrendo
E si dicea fuggendo:
Veder non ti voglio,
Ò cielo tiranno;
Non cielo, mà soglio
Di pena e d’affanno,
Non cielo, mà foglio,
In cui per mio danno
Si scrive il cordoglio.
Scendea la rupe intanto,
Anzi precipitava in varie forme.
Ove imprimeva l’orme,
Lasciava un fonte di sudor, di pianto.
E qual timida cerva,
Ch’habbia veltro seguace,
Parea Silvio fugace.
Che lusinga è mai d’un core,
Se a momenti si distrugge
Di lasciare il suo dolore,
Lo nudrisce e poi lo fugge.
Mentre il povero amante
Giva errando a cercar le sue ruine,
Lo guidaron le piante
Entro un horrido speco.
Frà sterpi e bronchi e spine
Quivi Silvio tremante
Chiedea pietade à un eco.
Gridò più volte e pure
L’eco forse atterrita
Replicar non volea le sue sventure.
Ond’egli disse all’hora:
Già che son disperato,
Ò ti vinco ò ti satio, ingiusto fato.
Se frà i Numi non v’è la pietà,
La chiedo alle furie
Che forse l’havrò.
E chi darla vorebbe e non l’hà,
Servirà per accrescer l’inguirie,
À chi darla dovrebbe e non vuò.
Mostri dell’arsa Dite,
Deh, per pietade à volo
Portatemi il mio bene
Per un momento solo.
Vedrò quella Tiranna,
Che mi condanna in un deliquio eterno.
Se figurar saprete
Una luce di cielo, ombre d’inferno,
Benché finto splendore
Sia conforto dell’occhio e non del core.
Furie torbide, imagini pallide,
Fra caligini d’aure pestifere
Dileguatevi al perfido baratro.
Stigii fulmini, spiriti horribili,
Empii turbini d’alito stridulo,
Scatenatevi i cardini all’Erebo.
Pria che naufrago in tenere lagrime,
Io distempri l’argine all’anima,
Al delirio di tesale machine,
All’augurio di magico circolo.
Con diluvio di fetida cenere
Animatemi un arido scheletro.
Sorrise il Re de pianti
Avvezzo à tali inchieste
Di sventurati amanti.
Silvio in tanto già stanco
Si addormentò con quelle specie istesse,
Che la sciocca magia nel sen gl’impresse.
Sognò, veder gli parve
Fillide, il suo bel sole,
Che apprì, ma disparve.
Si svegliò, si partì Silvio contento.
Poi che quel tormento,
Che l’anima ingombra,
Nasce da un finto sol, finisce in ombra.
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shelfmark Barb.lat.4202.4
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