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Redazione
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Watermark
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Titolo dall'incipit testuale.
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Son dal mondo ritirata
Dal desio non so tenermi
Un pensier dell'alma mia
Un garzon mi port’affetto
Mi consumo sola sola
S’un risillo il labro muove
Dimmi sorte che ti feci
Mangiar carne hebbi desio
Mio fratello l’altro giorno
Hier matina per sventura
In cantar la lettione
In levar la mensa un dì
Madre mia, io son smarrita
S’io cammino abbass’il viso
Io mi vedo apert’inferno
Quest’è stanza di tormenti
Con più gusto alla galera
Oh, perduta contentezza
Un risillo per pazzia
Se talor v’è un giovinetto
Mia persona delicata
Una testa ben spolpata
Maledetto ch’inventò
Maledico chi dal petto
Maledico i genitori
Sappian tutti la mia vita
Viva, viva io son dannata
Poetical text transcription
Son dal mondo ritirata
Per sfuggir la mala vita
Mammagnora gnoventata
M’hanno fatta Gesouita,
M’han tagliato ancor la chioma,
Sor Teresa ognun mi noma.
Dal desio non so tenermi
D’affacciarmi alla finestra
E per più mortificarmi
Senza sal fo la minestra,
Di parlar non mi confido,
Sto racchiusa e mai non rido.
Un pensier dell’alma mia
Ho scoverto al confessore,
D’una mezza simpatia
Dio ne guardi e foss’Amore
Voglio bene e a buon fine
Ma d’amor sento io le spine.
Un garzon mi port’affetto
Io non so voler sì male
Per nessuno mal affetto
Ma per causa naturale
Di parlarli fo astinenza
E ho vera penitenza.
Mi consumo sola sola,
Non mi fido di nessuno
E s’un sguardo mi consola
Sette sabati digiuno,
Nel veder quel viso adorno
Vado in estasi ogni giorno.
S’un risillo il labro muove
Non lo vede manco il sole,
Se dagl’occhi il pianto piove
So che il ciel non se ne duole,
Non sarà tentazione
Mentirò buona intenzione.
Dimmi sorte che ti feci
Che v’ho fatti crudi fati
Se sol fave e lenti e ceci
Son in mensa apparecchiati,
Non tardar, ti priego, o sorte,
Vieni, vieni a darmi morte.
Mangiar carne hebbi desio
E la volsi domandare,
Non l’ottenni, ahi fato, o Dio,
Ma mi ferno digiunare
E provai pene più strane
In mangiar con l’acqua il pane.
Mio fratello l’altro giorno
Mi mandò una gallina,
L’abbadessa per mio scorno
Me la tolse da cucina,
Non sol vuol che stato io cangi
Ma ne men vuol io che mangi.
Hier matina per sventura
Sonai tard’il mattutino,
L’abbadessa che n’ha cura
Mi levò pietanza e vino
Sì ch’obscura sempre torno
Al digiuno ogni giorno.
In cantar la lettione
Feci errore al responsorio
E per mia confusione
Fui schernita a refettorio
In presenza a tante matte
Mangiar femmo con le gatte.
In levar la mensa un dì
Mi fallì un piattello,
L’abbadessa che l’udì
Me l’appese a campanello,
Posta dunque in fantasia
Mi darò nella pazzia.
Madre mia, io son smarrita
Per avermi ammonacata
Io non so se son stordita
Tanto sto sempre affannata.
Tu pensasti haver gran zelo
Mandarai gran cont’al cielo.
S’io cammino abbass’il viso,
Non riguardo chi si sia,
Viv’ho perso il Paradiso,
Son dannata gnora mia
Che pensasti far tu sola
Dando morte a tua figliola.
Io mi vedo apert’inferno
Senz’aggiuto e pien d’affanni,
Gente perfida d’affanni,
Senza fede e tutt’inganno,
Già mi sento a tutte l’hore
Nuova rabbia intorno al core.
Quest’è stanza di tormenti
Ch’ogni hora mi castigo
Senza far tanti lamenti
Qui si stenta e si fatiga
Sì che senza alcun ristoro
Fatigando sempre io moro.
Con più gusto alla galera
Fan la vita i condannati
Han talor tal buona cera
Né son tanto travagliati,
Veggo sempre meno il cielo
Ed io qui di doglia gelo.
Oh, perduta contentezza,
Che mi giova l’esser bella
S’una mia tanta bellezza
Sta rinchiusa in una cella
Posta dunque in tal deserto
Son romita senza merto.
Un risillo per pazzia
Qui lo stima l’Abbadessa
E si sta di fantasia
Non andar avanti ad essa
Che pietade mai non regna
In quel volto di madregna.
Se talor v’è un giovinetto
A parlar in mia presenza
L’abbadessa per dispetto
Se ne vien con impatienza.
Oh destino mio crudele,
Qui mi fai crepar il fiele.
Mia persona delicata
Dorme su le tavolette
ed a pena addormentata
Sente il suon delle squillette,
Già mi par di vita uscire
In sentir cotal martire.
Una testa ben spolpata
Mi sta dietro al capezzale
Con candel entr’allumata
Serveria per un fanale
In vederla sola in cella
Mi sommovon le budella.
Maledetto ch’inventò
Tante tuniche e soccanni
Qual cometa fulminò,
La cometa per miei danni
Maledetta sempre sia
Chi mi pose in agonia.
Maledico chi dal petto
Col suo latte mi cibò,
Vogl’ancor che maledetto
Sia chi allor non m’affogò.
Sempre morte avanti vedo
Rest’in vita e pur nol credo.
Maledico i genitori,
Maledico i miei parenti,
Tutti quanti traditori
Mi hanno posta alli tormenti.
Non tardar, ti prego, o sorte,
Vieni, vieni a darmi morte.
Sappian tutti la mia vita
D’una vergin ingannata,
D’una povera tradita,
D’una afflitta e sconsolata,
Vieni, dunque, o sorte,
Vieni a darmi morte.
Viva, viva io son dannata
Questa dunque è la mia vita
Mamma gnora Gnoretata
M’hanno fatto Giesouita
Qui la rabbia mi divora
Gnoretata e Mammagnora.
Country
Language
Shelfmark
collection Noseda
shelfmark A.54.3
Record by Ivano Bettin