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La protagonista di questa cantata è Lucrezia romana, moglie di Collatino personaggio leggendario della storia romana. L'appellativo è ricavato dalle concordanze.
Secondo documenti presenti nell'archivio Doria-Pamphilj la cantata è datata 16 settembre 1688 e una copia fu presentata nel 1690 al cardinale Giovanni Francesco Maria de' Medici. Cfr. bibliografia.
Uniform title
Scoring
Bibliographic repertories
Bibliography
Analytical description
Lasciato havea l’Adultero superbo
Barbaro, hai vinto
Voi, Genitor, consorte
Contro voi, bellezze rie
Dov’è quel ferro istesso
Per dar fine al tuo tormento
So che il mondo dirà che s’io volea
Per sottrarmi all’altrui colpe
Sì, sì corri alla morte
Poetical text transcription
Lasciato havea l’Adultero superbo
Sul macchiato origlier nuda e sdegnosa,
Oggetto troppo acerbo,
Di Collatin la violata sposa.
Vinto di Sesto al temerario assalto
Quel cor, benché di smalto,
Sembrava, che languisse
Su la stracciata chioma
In vergognosa eclisse
Lucrezia, il sol de l’honestà di Roma.
E mentr’al muto labro
Dispettosa mordeva il bel cinabro,
Le trafiggeva il petto
L’involontario errore,
Dell’ospite impudico il tradimento
L’accresceva il tormento
Del volgo detrattor vario il concetto,
L’odio del genitore
Dello sposo lo scherno
Furia d’honor nel suo racchiuso inferno
Onde resa frenetica, e feroce
Fomentando i sospiri
Dando campo ai deliri
Si scosse dalle piume e in atto atroce
Svelto il crin molli i rai col piede ignudo,
Così battendo il suol minaccia il Drudo.
Barbaro, hai vinto
Vanne, trionfa e godi,
Vanta il tuo diletto,
Ch’armato sol di frodi
Ti fu campo il mio letto.
Trombe le voci mie, colpi i tuoi baci,
Questo sen Campidoglio
E per trofeo del tuo lascivo orgoglio
Di Lucretia l’honor, ch’hai reso estinto.
Ma crudel, dove n’andrai
Per fuggir le mie vendette
Da libiche selve,
Del mar su le sponde,
Dagl’antri d’Averno
Ti scaccin le belve,
Ti sputino l’onde,
T’escluda l’Inferno,
E se al ciel giunger saprai,
Ti respinghin le saette.
Voi, Genitor, consorte,
Fate del regio sangue aspro macello
Serva in confuso horror di stragi, e morte
All’impuro regnante
Lo scettro di flaggelli,
La reggia di prigione,
Di ceppi le corone
E sia del piè tremante.
Delle vostr’armi al lampo,
Delle mie voci al tuono
Il manto inciampo e precipizio il trono.
Ma qual vendetta, oh Dio,
Delirando disegna il pensier mio.
Contro voi, bellezze rie,
Il mio sdegno sfogarò.
Se in voi l’empio cadde involto,
Pur vedrò ne’ miei perigli
Scolorir le rose al volto,
Far sanguigni al seno i gigli
E le macchie in me non mie
Col mio sangue lavarò.
Dov’è quel ferro istesso,
Che in man del traditore
Forza somministrando al molle eccesso
La costanza atterrì del mio gran core
Egli, che sa l’inganno,
Ch’usò l’empio tiranno
Ei sul petto, che langue,
Se Lucretia peccò, scrivi col sangue
Ma che farai, mio cor.
Per dar fine al tuo tormento,
Sì cadrai costante e forte.
Ma diran che la tua morte
Fu del fallo il pentimento,
Non la gloria dell’honor.
Ma che farai, mio cor.
So che il mondo dirà che s’io volea
Farmi di pudicizia unico esempio,
Pria dell’error dovea
Soffrir l’anima forte il proprio scempio,
E che forse il tiranno al dolce invito
D’un guardo lusinghier si rese ardito.
Per sottrarmi all’altrui colpe
Non mi val cader trafitta,
Ne mi giovan le discolpe,
Poich’aa render l’alma invitta,
Giunse tardi il mio dolor.
Ma che farai, mio cor.
Sì, sì corri alla morte,
E della fama mia
Il ciel che l’udirà giudice sia.
Intanto Roma, genitor, consorte,
Da voi vendetta aspetto
Del rapito honor mio.
Ecco mi sveno il petto.
Io manco, io cado, io moro, io spiro, addio.
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shelfmark 33.2.4.15
Record by Maria Tenace