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L'attribuzione a Salvator Rosa è tratta da Satire odi e lettere di Salvator Rosa illustrate da G. Carducci, Firenze, Barbera editore 1860, pp. 366-368. L'incipit autentico è Da che uscii dalla cuna, mentre "Non ha tregua né fine il duolo mio" con cui inizia la cantata è il secondo verso: Il resto del testo è uguale salvo quanto indicato nella trascrizione fra parentesi quadre.
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Analytical description
Non ha tregua né fine il duolo mio
Venni solo alla vita
Villa non ho né stanza
Non ha tregua né fine il duolo mio
S'io son desto o nel letto
Non ha tregua né fine il duolo mio
Poetical text transcription
Non ha tregua né fine il duolo mio
Ricordati fortuna
Che son nel mondo e son di carne anch’io
Venni solo alla vita
Per stentar e patir sudar da cane
E tra pena infinita
Speme non ho di racquistarmi [assicurarmi] un pane
Per me solo si vede
Scuro il ciel sord’il mar secca la terra
Ov’io di pace ho fede
Colà porta il [gran] diavolo la guerra
S’io fo il bucato piove
S’io metto il piè nel mare il mar s’adira
S’andassi all’Indie nove
Non val il mio teston manco una lira
Son di fede christiano
e mi bisogna credere all’hebreo
Sallo il ghetto romano
E’l guardaroba mio ser Mardocheo
Ma di gratia osservate
Quando si sente un caldo dell’inferno
Nel mezzo dell’estate
Rimanchio [io marcio] col vestito dell’inverno
Suol [Puol] dir chi ha da mangiare
Che i commodi e quatrini alfin son sogni
Che dolce minchionare
Haver quasi l’entrata a suoi bisogni[e aver pari l’entrate a suoi bisogni]
Villa non ho né stanza
Altri han d’argento sino l’orinale
Ricco son di speranza
E per fideicommisso ho l’hospedale
Non vado al macellaro
Bench’havessi a comprar di carne un grosso
Che’l mio destino avaro
Non mi pesi la carne al par dell’osso
Non ha tregua :://:: da capo
S’io son desto o nel letto
Sempr’ho la mente stivalata e carca[varia]
Senz’esser architetto
Fabrico tutt’il dì castelli in aria
Cielo son pur pittore
Né posso figurarmi un miglior segno
Ho sempre d’un colore
Né mi riesce mai alcun disegno
Legni iberi e francesi
Col nocchiero pennello all’onde io spalmo
Dono ad altri Paesi
In tempo ch’io non ho di terra un palmo
S’io non à palazzo a stare [s’io vo a palazzo a sorte]
L’anticamer’ogn’hor mi mostr’a dito
I satrapi di corte
Con le lingue mi trinciano il vestito
Credete al vostro Rosa
Che senza versi e quadri il mondo è bello
E la più sana cosa
In questi tempi è il non haver cervello
Ve la dico più chiara
Hoggi il saper più non si stima un fico
Da me ciascun’impara
Che chi segue virtù sempre è mendico.
Non ha tregua [da capo]
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Record by Teresa Gialdroni