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Povero giglio, oh Dio!, cadesti alfine
Non se quello che pria bello
Quando teco raggiono
Per farmi venir meno senza conforto
Poetical text transcription
Povero giglio, oh Dio!,
Cadesti alfine ai molli erbette in grembo;
Già furioso nembo,
Cingendo il ciel di tenebroso velo,
Ti minacciò la tua fatal ruina;
Già forza repentina
E rabbioso furor di vento irato
Ti scosse, ti agitò, ruppe lo stelo,
E al suolo abbandonato,
Per tua crudel sventura,
Orrida nube oscura,
Mentre in continue stille alfin si scioglie,
Senza l’onor ti mira dell’aurata corona e delle foglie.
Non sei quello che pria bello
Già sorgesti, o giglio amato,
A regnar sopra ogni fior.
Già ti toglie le tue foglie
Tempestoso vento irato
E di nembo il rio furor. Da Capo
Quando teco raggiono,
Giglio che già cadesti dall’ira scosso
Di crudel procella,
Parlo della mia bella
Innocenza, che piacque all’Idol mio.
Ma sdegno ingiusto e rio
Sorse improviso, e fugitivo sguardo
Sembrò ratto baleno e tuon la voce
E fulmine ogni accento.
Ond’io che avvampo, ed ardo,
Ond’io ch’ancor pavento,
Turbàti rimirando il volto e’l seno,
Senza trovar conforto
E senza dire almeno
«Cara m’offendi a torto»,
Al minaccioso orrore
Di luci che spandean torbidi rai,
L’innocente amor mio languir mirai.
Per farmi venir meno senza conforto
Basta del caro ben lo sdegno e l’ira.
Né posso dire ancor «M’offendi a torto»,
E intanto il fido cor pena e sospira.
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shelfmark Ms. 1.1
Record by Ivano Bettin