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Fuor dell’atra, e fumante
Soglia del nero Acheronteo soggiorno
Era dal forte Alcide
Tratto a mirare il Gerion latrante
Con sei bieche pupille i rai del giorno;
E al fragor violento,
Con cui fremean le strascinate gole
Si fea per lo spavento
Paralitico il Cielo,
Svenian le stelle, e tramortiva il sole.
D’Almena intanto il figlio
Verso Dite affissando
Pregno d’insulti, e di minacce il ciglio
Al trofeo memorando,
Che il braccio suo già partorito avea
Questi in tremendo suon detti aggiungea:
«Leggi oh Pluto in ciò, che oprai
Quanto è vasto il mio valor.
Se d’Egeo l’altero erede
Tu ben tosto a me non rendi
Dalla man non solo attendi
Che lo scettro io venga a svellerti,
Ma dal petto il cuore ancor.
Nel sen caliginoso
Del tuo fosco dominio il caro amico
Non ritenermi anche un momento ascoso,
O ch’io del Regno opaco
Stritolate le porte
Farò in pezzi il tuo trono, e delle audaci
Eumenidi le faci
D’un orribil timor spente nel gelo
In tua ruina, e scherno
Se ressi già con queste spalle il cielo
Con gli urti loro atterrerò l’Inferno.
Ma se pigro Cocito si sta
No mie forze non tardisi più.
Già mi muovo; m’avvento, mi scaglio;
Già rovino, disperdo, sbaraglio
Ciò che avanti a miei sdegni si fa;
E distrutto l’albergo del pianto
Ne lascio sol quanto
Basti a dire l’abisso qui fu.
Ma se pigro Cocito si sta...»
D’un parlar sì feroce
Dal rimbombo atterrito
Il torvo regnator dell’arso lito
Da suoi sulfurei chiostri
Tosto inviò d’Atene
Il gran campione al domator de mostri;
Ed ei del furor suo smorzato il fuoco,
E d’un racquisto tal lieto e giocondo
Rendè Cerbero a Stige, e Teseo al mondo.
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Record by Giulia Giovani e Ivano Bettin