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Poetical text transcription
Pasce col sen sbranato
Di non mai sazio augel l’avide brame
Prometeo incatenato
Del Caucaso tra ’l gelo
E con questi lamenti assorda il cielo:
«Quando, oh Dio d’estinguer l’ire
Vostro cuor fia che disponga
O che almen termine imponga
La mia morte al mio morire?
Più non può l’alma avvilita
Sopportar l’aspro tormento
Di morire ogni momento
Né finir giammai la vita.
E che mai feci, ahi lasso?
Del suo sì vasto lume
Una sola scintilla al sol furai
Per cui con mano industre
Spirti di vita in fango vil destai.
E per sì nobil opra
Che d’ogni uman saper gli sforzi eccede
Strazio riporto, onde sperai mercede?
Ah né m’avveggio, come
Spesso premian virtù, scempi, e ruine.
Le più indegne rapine
Copre un felice oblio,
E a soffrir si condanna immensa pena,
Perché gloria, non colpa è il furto mio!
Pur sia quale il decreta
Giustizia, o crudeltade,
Se usar qualche pietade
Meco v’aggrada, oh Dei
Finite i giorni, e in un gli affanni miei.
A tanto martiro
Ristoro non bramo
La parca sol chiamo,
Sol morte sospiro.
Ma in replicati preghi
Se ben l’ultimo fato al fato io chieggio,
Più sordo ognora al mio pregare il veggio.
Ahi perché ogni altro duol passin mie doglie
Ciò che a niun può negarsi a me si toglie».
I suoi funesti casi
Con sì flebil favella
Piange il misero in quella
Men del suo fier destin dura pendice.
Sventurato, infelice,
Ma non solo a soffrir crucii cotanti
Però che al mondo oh quanti
Sono i prometei a cui
Sempre il rostro d’invidia il cuor divora,
Mercé che di color, che stansi ognora
Vivi penando in sì durabil morte
N’ha la Scitia sol un, mille la corte.
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Record by Giulia Giovani e Ivano Bettin