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In un deserto suolo
Sparso d’ossa insepolte e teschi ignudi,
Colà tratto dal caso un uom vagante
Sospese un dì le piante,
E poi che scorso intorno
Con l’attonito ciglio ebbe più volte
Sì terribil soggiorno
In quelle atre, e sconvolte
Prede di morte al fin gli occhi converse
E a questi amari accenti il varco aperse:
«O del fasto terreno
Dissipate reliquie. O della umana
Caduca ambizion lacere spoglie,
Con lingua orrida, e strana,
Voi ben mi dite, ed io v’intendo appieno
Che vile arena ogni superbia accoglie.
Qui giunse all’ore estreme
Turba confusa; in un momento solo
Qui fu di mille vite il fil disciolto,
E infra quest’ossa insieme
Forse giace col servo il rege avvolto.
Ma, lasso, e chi ravvisa
Dal rege il servo? Ah che in un sol sembiante
Preme il putrido suol la schiera uccisa.
Pompa inutile al crine
Dunque è d’altiero re diadema aurato,
Se de suoi giorni il fine
Rende a quel d’un mendico uguale il fato
E pur di tal sciagura
Vive in oblio si cieco un regio orgoglio,
Che aver sembra col Ciel diviso il soglio.
D’oro, e d’ostro in ricchi ammanti
Vanità superba impera
Né giammai tra riso e canti
De suoi dì pensa alla sera.
Il valor di squadre elette
Al suo più supplice vede,
E di morte aver soggette
L’armi ancor folle si crede.
Ma che? D’Atropo irata a un cenno crudo
Si fa scheletro ignoto, e cener nudo.
O d’infausto terror squallidi campi
In voi quei lumi oggi vorrei conversi
Che d’ozio lusinghier nel sonno immersi
S’apron solo a mirar dell’oro i lampi.
Ben da queste sembianze
Resi accorti vedrian, come reciso
Di lor vita lo stame
Giacciono il vile, e il forte,
Il misero, e il felice al par negletti
Però che ai rozzi alberghi, e ai regii tetti
Con non dissimil piè batte la morte.
Ma del piacere in seno
Ha l’umana follia posta ogni cura
Ne scorge ahimè, che in balen s’oscura
Questo del viver suo breve baleno.
Sordo, e stolto mortale
Che d’aura adulatrice hai gonfio il cuore
Vola al fuggir dell’ore
Sempre più verso te l’ora fatale,
E ancor che i suoi tesori
Abbia offerti al tuo piè l’Ermo, e l’Ibero,
Benché immutabil legge
Abbia data il tuo cenno a un mondo intiero
Allorché il viver tuo Cloto dissolve
Come mirar qui puoi
Non resta altro di te, che orrore, e polve».
Tacque ciò detto, e dal funebre lido,
Che di stille di duol già sparse avea
Volgendo altrove il passo
Lasciò di simil note inciso un sasso:
«O chiunque tu sia, che in queste rive
Fra ceneri gelate il piede arresti
Con lumi attenti, e desti
Leggi il fin di tua vita in chi non vive,
E in questa scuola spaventosa, e amara
Qual tu ti sii, quel ch’esser devi impara.»
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Record by Giulia Giovani e Ivano Bettin