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Titolo dall’incipit testuale. Capolettera ornato.
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Fu sì dolce la ferita
Misero, e non m’avvidi
Un miserabile
Se Cupido t'impiaga
Qual balsamo ch’estrae chimica mano
Gelosia, deh dillo tu
No che ridir nol sa ché mal intende
O flagel de’ viventi
Di Sisifo i sassi
Ditemi, v’è martire
Col tradito in paragone
Testimonio dolente io ve l’attesto
Ma le stesse ferite
Sprezzata sirena del mondo
Lo provo, lo so
Pompe di servitù, legami indegni
Soccorrimi, o sdegno
Odio della beltà l’altero orgoglio
S’io più cerco raggirarmi
S’apra l’abisso e in quelle eterne notti
S'io torno a i lacci
Contro di me voi deitadi invoco
Se Filli più bramo
Resta Amor, ch'io ti sprezzo
Poetical text transcription
Fu sì dolce la ferita
Che nel sen mi fece Amore
Che mi dolsi havere un core
Ed haver una sol vita.
Mille cori da me furon bramati
Per vederli un sol dì tutti piagati.
Misero, e non m’avvidi
Ch’io desiai la morte,
Che ricettai ne l’alma un fier tiranno.
Con termini homicidi
Egli a tanti martiri aprì le porte
E v’introdusse un sempiterno affanno.
Non conobbi l’inganno:
Nudo cieco fanciullo a me sen venne
Ma poscia di fanciullo arcier divenne.
Un miserabile
Chi veder vuol,
Sen venga a me,
Poiché sanabile
La piaga e il duol
D’amor non è.
Se Cupido t’impiaga,
Sin che tu porti il cor porti la piaga.
Qual balsamo ch’estrae chimica mano
Havrà virtù bastante
A purgare il veleno
Sparso per entro il seno
D’un che dall’idol suo vive lontano
O d’un tradito o d’un geloso amante.
Gelosia, deh dillo tu,
Ché Filen ridir nol sa:
Può quest’alma pianger più?
Può soffrir più crudeltà?
No che ridir nol sa ché mal intende
Chi l’infinito a misurar si prende.
No che nol sa ridire: alma a cui lice
Numerar le sue pene è assai felice.
O flagel de’ viventi,
Megera degl’amanti,
Fonte d’eterni pianti,
Ricetto de’ tormenti,
O viva morte, che la morte avvanza:
Così chiamar ti deggio, o lontananza.
Di Sisifo i sassi,
Di Tantalo i chiostri,
Dell’aquile i rostri,
Tu sola trapassi.
Furie, vantate pur le vostre pene,
Più crude de le vostre il cor sostiene.
Ditemi, v’è martire
Che vincer possa il duol d’un ch’è tradito?
S’ingegni pur Cocito
Contro quei spirti rei d’incrudelire.
Col tradito in paragone
Voi d’entrare in van pensate,
Con voi parlo, alme dannate,
E di Tizio e d’Issione
E di quante la giù Stige in eterno
Uso è di tormentar: questo è l’inferno.
Testimonio dolente io ve l’attesto:
Quando credea che l’infedel beltade
M’osservasse la fé d’Abido e Sesto,
Le gratie a me donate
A me ritolse e novello amatore in braccio accolse.
Mi rivolsi alla speme,
Che mi promise in breve ogni conforto,
Ma le stesse ferite ancora io porto,
Ma lo stesso dolore il cor mi preme.
Sprezzata sirena del mondo
Che alletti col canto et ancidi,
Vezzosa tiranna che ridi
E il riso di pianto è fecondo.
Lo provo, lo so,
Né più crederò
Al tuo canoro invito,
Ch’io già chiudo l’orecchio e corro al lido.
Pompe di servitù, legami indegni,
Freggi di crudeltà, piaghe amorose,
Non restin nel mio seno i vostri segni
Né sovra l’alma mia l’orme penose.
Soccorrimi, o sdegno,
S’amor mi tradì,
Dal barbaro regno
Il piè che fuggì
Pentitosi ardì
Rincorrere a te.
Serbarti la fé
Per sempre m’impegno.
Odio della beltà l’altero orgoglio,
Così giuro e prometto e così voglio.
S’io più cerco raggirarmi
Di due luci al bel fulgor,
Corra il petto a lacerarmi
De le belve il rio furor.
S’apra l’abisso e in quelle eterne notti
Me, se più seguo amore, o terra, inghiotti.
I fulmini del cielo
Scocchi il tonante dio
E tempeste di fiamme, urne di gelo
Versi irata Giunon sul capo mio
E quanto v’ha di fero il ciel minacci.
S’io torno a i lacci,
Se m’offro a quel dardo,
Contro di me voi deitadi invoco.
S’adoro un bel guardo,
Se riedo a quel foco,
Sì, sì, contro di me tutte vi chiamo.
Se Filli più bramo,
Se più mi distruggo,
Resta Amor, ch’io ti sprezzo e me ne fuggo!
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Record by Ivano Bettin