Scheda n. 8918

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Testo per musica a stampa

Data

Data certa, 1688

Titolo

Zenobia Regina de Palmieri, per vendicare la morte del suo marito Odenato in venir a battaglia con Aureliano Imperatore, da cui fu vinta e menata in trionfo, fa questo lamento. Or vadane l’impero

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Lotti, Giovanni

Pubblicazione

Copia

Descrizione fisica

Parte terza, pp. 153-157

Filigrana

Non rilevata

Titolo uniforme

Or vadane l'impero. Forma non specificata, Zenobia Regina de Palmieri, per vendicare la morte del suo marito Odenato in venir a battaglia con Aureliano Imperatore, da cui fu vinta e menata in trionfo, fa questo lamento

Bibliografia

Trascrizione del testo poetico

Or vadane l’impero,
La vita, il sangue e l’alma e s’altro avanza
All’arida speranza;
Sì, ch’io presumo e spero
Di vendicar la morte
Di quel caro consorte
A cui gl’astri ed amor serva mi fero;
Il presumo e lo spero.

Così dicea mentre inchinate l’aste
Le falangi di Siria e le latine
Scambievoli ruine
Minacciavansi entrambe e già precorsa
Zanobia impatiente
Quasi foriera ad intimar la pugna
Contro mille campion del Campidoglio,
Vieni, dicea, te voglio
Predon dell’Asia, ignobile tiranno
Dell’usurpata terra;
Non ti disfida a guerra
Un Ettorre, un Achille,
Sarian glorie per te troppo superbe
Che temuto campione
Ti chiamasse a tenzone;

Vedova lagrimosa,
Idolatra dolente,
Con ardimento invitto
All’Augusto del mondo offre il conflitto.

Deh mio sole, ombre gradita
Da quell’urna in cui ti stai
Sorgi omai,
Sorgi, sorgi e meco unita
Fà dell’empio
Fero scempio
Per l’arabiche pendici;
Temerà fronte rea due giuste ultrici.

A queste voci il duplicato campo
Con sanguinoso incontro
Meschiò la zuffa e in rapido momento
S’empì d’eroi piagati
Di destrieri svenati
Quell’orrida contrada;
Ma la latina spada
Cui sempre amico ciel palme destina,
Doppo un sanguinoso varco
Che fra le turbe assire aprissi a forza,
Giunse per là, dove guerriera amante
Zenobia la baccante
Fea di Marte e d’amor prodezze strane;
E quivi il Latio ardire
Rotta a quell’ire insane
La violenza e costringendo a morte
L’indomita consorte,
Già gl’eserciti suoi fugati e spenti,
La forzò disperata a quest’accenti.

Ahi, che mi resta più?
Col petto, col brando
Trofeo memorando
Ergei di mia fe’,
Se poi per mercé
Di gloria sì belle
Mi rendon le stelle
E venti dolenti
E servitù,
Ahi che mi resta più.

Resta, ch’io pianga sempre
E qual Titio fra i rostri
Eterni ognor me stessa
Agli stratij, alle pene,
Vittima rinascente al caro bene.

Ben io fervida e pronta
Per sì nobil vendetta
Armai la destra e ’l regno,
Ma ’l generoso ardir non giunse al segno,
Ch’il bellicoso ardore
Ha sodisfatto l’ira e non amore

Cesare, non t’affreni
Da cumularmi offese,
Da satiarmi d’oltraggi
La pietà, che si deve al sesso imbelle,
Armati pur ribelle,
Accenditi orgoglioso
Non ch’a ritorte opprobriose e dure,
Ai fasci, alle secure.

Ecco il braccio ai legami
Ai ceppi il piede e alla spada il petto,
Questo pietoso oggetto
Di reina, che pianga,
Il tuo furor non franga
E da gl’uffici rei non ti rallenti.
È pietà tormentar, chi vuol tormenti.

O quanto co l’alma
Adoro il Tarpeo,
Là dov’in trofeo
Avvinta n’andrò,
Ne sia, ch’a tua pro
Ridondi la palma,
Che sol del mio martoro
Trionferà dall’urna il mio tesoro.

Così vinta di Siria
La reina guerriera,
Fu con quadriga altera
Dall’Augusto latino
In disusato spoglio
Trasportata in catena al Campidoglio.

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

I-Rn - Roma - Biblioteca Nazionale Centrale
collocazione 204.3.B.12.177

Scheda a cura di Nadia Amendola
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