Scheda n. 8279

Tipo record

Scheda inferiore

Tipo documento

Testo a stampa

Data

Data certa, 1717

Titolo

All’Eccellenza di my Lord Bathurst / Paolo Antonio Rolli

Presentazione

Legami a persone

autore del testo per musica: Rolli, Paolo Antonio (1687-1775)
dedicatario: Lord, Bathurst

Pubblicazione

Londra : per Giovanni Pickard, 1717

Descrizione fisica

P. 7-17.

Filigrana

Non rilevata

Note

Il tit. si ricava dall’intitolazione a p. 7; il nome dell’A. si ricava dal front. dell’intera edizione. Fa parte degli Endecasillabo. Libro primo

Titolo uniforme

Cui dono il lepido novo libretto. Forma non specificata

Trascrizione del testo poetico

Cui dono il lepido novo libretto
Pur’or di porpora coperto e d’oro?
Solo a te donisi Bathurst che suoli
In qualche pregio tener miei scherzi:
Tu d’antichissima stirpe sostegno
Di tua gran Patria franca e guerriera
Con gli altri nobili siedi a governo,
E fra quegli ozii che l’alte cure
Talor concedono, fai tuo diletto
Quanto già scrissero gli antichi ingegni,
E il tempo e i barbari lasciarono intatto.
Or tu di Pindaro scorda i gran voli,
Scorda la libera vena di Flacco,
I giochi semplici del mio Catullo,
Le dolci d’Albio vaghe elegie
Che ancor senza emoli giran con gli anni.
Lo sguardo volgere allor potrai
A questo lepido novo libretto
Cui, mentre all’inclito tuo nome in fronte;
Viver più secoli darà fortuna.
II
Questo poetico picciol volume
Non è per gli uomini gravi attempati,
Non per le livide vecchie rabbiose,
Non per li rigidi sacri custodi,
Non per le vigili caste vestali:
Nemico popolo d’amor di gioia
Lunge dal lepido novo libretto.
Voi solo amabili ninfe vezzose.
Ben nati giovani, e voi ch’avete
In sommo pregio giovani e ninfe;
Voi sì leggetelo: per voi fu scritto
Questo poetico picciol volume.
III
Ecco già tornano buon Tioneo
Tuoi lieti giorni pieni di giubilo:
Evoe Bromio, evoe Lieo.
Ecco già s’aprono alle carole
Per folti lumi le adorne camere
Come la splendida reggia del sole.
In fra le libere danze novelle
Su i bianchi volti la negra maschera
Le snelle giovani rende più belle,
Perché le tenere sembianze crede
Più graziose più vive e morbide
Il desiderio che non le vede.
Vezzosa Egeria inanellato
Il crin t’adorna con una candida
Piuma pieghevole fu’l manco lato:
Al collo avvolgiti l’orientali
Fila di perle che dolce caggiano
Da nodo facile fu’l petto eguali.
Dopo le rapide danza se lassa
Ti posi e siedi; bello è le scorgere
In onda moversi or’ alta or bassa:
E così ondeggiano le perle rare
Soavemente; che d’esser credono
Mosse da Zeffiro tornate in mare.
Poi s’imbandiscono tutte fumanti
Di scelti cibi le ricche tavole,
E i vini brillano dolce piccanti
Che dentro a limpidi tersi bicchieri,
Spiritosetti lieve zampillano
Al gusto amabili sani e leggieri.
Bevasi il rustico sier sabinese
I suoi gagliardi vini che fumano
Cretosi e ruvidi com’ il Paese:
Aurei scntillino in nostra mano
I dilicati vini del Tuscolo
Di Monte Porzio d’Alba e Genzano.
Quando s’immollano, che bel colore
An le tue Labbra! Quanto le grazie
Sopra si stillano dolce sapore!
Allor più scherzano il gioco e il riso
Degli occhi lieti nell’umor lucido,
E allegra l’anima vien tutta al viso.
O padre libero, o baffareo,
O sempre biondo, o sempre giovane,
Evoe Bromio, evoe Lieo.
IV
Piangete o grazie, piangete amori:
Della mia ninfa nel volto pallido
o amica Venere, o di Cupido
Vezzosa madre nata in oceano
E poi da Zeffiro sospinta al lido,
Scendi d’Egeria sul molle letto,
E coi bei lumi quel mal che opprimela,
Scaccia dal morbido suo bianco Petto:
Dove nascondesi il tuo bel figlio?
Io più non lo veggio nelle purpuree
Sue guancie tenere, nel vago ciglio:
Digli che tornivi, perch’ei non scocca
Dardi che piaga più dolce portino
Di quei che vibrami da quella Bocca:
Bocca dolcissima se parli o taci;
Sei tutt’amori, sei tutta grazie
Che ben t’insegnano l’arte dei baci:
Com’or sei languida! dov’è il bel riso
Che da tue labbra vermiglia et umide
Dolce diffondesi per tutto il viso?
Più non sfavillano quegli occhi neri:
Smarrito è il vivo soave spirito
Che avevan placidi, ch’avean severi.
Le mamme candide ricolm’ e belle
Con egual moto non vanno e vengono
Com’onda al margine; non son più quelle,
O amica Venere di Giove figlia
Se i voti accogli d’amante fervido;
Non lasciar perdere chi t’assomiglia.
V
Gioite o grazie, scherzate amori:
Non à il mio bene più il volto pallido:
Tutti vi tornano gli almi colori.
Amori e grazie voi già tornate
Sulle sue gote, negli occhi lucidi
Pieni d’imperio e di pietate.
Quel riso amabile già in voi ravviso
Molli pozzette labbra purpuree:
Riso dolcissimo: soave Riso.
Del vetro Egeria riedi al consiglio;
Ché come grana sparla in avorio,
Nel tuo bel candido sorge il vermiglio.
Col terso pettine tutta inanella
La lunga chioma, e bianca polvere,
Qual neve in albero, spargi su quella.
Pon sul bell’ordine de’vaghi crini
I ricchi nastri le gemme tremole
E i sottilissimi stranieri Lini.
L’orecchie adornati co’cerchi d’oro
Cui gran diamanti sopra sfavillano
D’acqua purissima, d’alto lavoro.
Di perle nitide doppio monile
Cingi al bel collo, e i polsi avvolgine
Pur della morbida mano gentile:
Dell’alba ditemi o pure figlie,
Non v’è più grato quel collo latteo;
Che il seno argenteo delle conchiglie?
Dov’è la nobile pomposa vesta
Cui frange d’oro d’intorno ondeggiano
Tutta pur d’auree fila contesta?
Il cocchio splendido d’auro e cristalli
T’aspetta o cara: senti che strepito
Con l’unghia ferrea fanno i cavalli:
Oh come danzano, come inquieti
Il ricco freno di spuma imbiancano,
Di te che traggono superbi e lieti!
Sotto l’imperio delle tue ciglia
Vedrai dovunque gli occhi si volgono,
Diletto nascere e meraviglia:
Ma non accendere d’orgoglio il core;
Ché in un’istante bellezza e grazia
illanguidiscono qual molle fiore.
VI
Vener’ e Zeffiro già quattro volte
An riportate le chiome agli alberi,
Che il verno frigido avea disciolte;
Da che le tenere erbett’ e i fiori
E d’un boschetto l’ombre più tacite
I primi accolsero miei dolci amori.
Oh come rapidi s’incalzan gli anni!
E i dì felici sol si rammentano,
Giovando all’animo scordar gli affanni.
Mia bella Egeria raro gli amanti
Stagion sì lunga ardon del fervido
Lor desiderio de’ prim’istanti.
L’altrui sì rigide tue Luci altere,
A me pietose ridenti brillano
Sempre più lucide, sempre più nere:
Le liet’ e placide tue parolette
De’ miei pensieri esca continua
Al sen mi scendono viepiù dilette,
Quand’ avvicinomi a te mio bene
Tutto anche il sangue al cor va trepido,
E par che restino vuote le vene.
O soavissimo stato amorfo
Chi non ti cura nell’età florida;
Nè pure al cenere trovi riposo.
Godasi libero chi ben fa come
Quanto an di dolce gli amor le grazie
Finché non cangiano color le chiome.
Vasta è la copia de’ sieri mali,
E più di morte vecchiezza orribile
Spesso al lor termine porta i mortali:
E pur le stolide alme malnate
Ritrosa e pigra tutta trapassano
L’irremabile più viva etate.
Vieni dono amabile de’sommi dei,
Vieni delizia de’giorni miei,
Vien dove invitano a bel riposo
L’erb’ e i fioretti che rigermogliano,
E lento mormora quel rivo ombroso.
Scherzanti et umidi, lunghi e tenaci,
Sospirosetti ma senza strepito
Accogli e rendimi ardita i baci:
Cento preparane, indi altri cento,
Mille e poi mille finché confondasi
L’immenso numero dentro il contento:
E l’altra invidia per suo dolore
Veggia, e s’adiri, che non ci fuggono
Tutte le commode dolcissim’ore.
VII
Damo fa il nobile il ricco e il bello,
Dipinge, è musico, tornisce, incide,
Fa il mattematico, fa l’architeto,
Fa l’antiquario, fa l’erudito;
Ma in che ridicolo non è mai Damo?
Damo le giovani tutte innamora,
E tutte l’amano se a Damo credi;
Ma in che ridicolo non è mai Damo?
Damo avea copia folta d’amici,
Ma gli anni crebbero, mancar gli amici;
In che ridicolo non è mai Damo?

Paese

Italia

Lingua

Italiano

Segnatura

A-Wn - Wien - Österreichische Nationalbibliothek
collocazione 74.R.34.1

Scheda a cura di Bianca Marracino
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